Ebbene sì, scrivo articoli da più di trentaquattro anni. Molti dei miei collaboratori, all’epoca dei miei tremebondi esordi, erano ancora in mente Dei, pensate un po’. Non faccio questo annuncio altisonante per proclamare chissà che, ma solo per dirvi che l’anagrafe ha il suo peso. E, neppur tanto lento pede, mi approssimo all’autunno.
Tuttavia, ci tengo a sottolineare che gran parte dei pezzi da me vergati era destinata alla mia città, giammai concepiti dalla intelligenza artificiale- ché m’è sempre bastata la mia, pur fallacissima essendo – e men che meno copiati da colleghi, eccelsi o fasulli che fossero, manco una riga.
Dunque, delle migliaia di colonne d’inchiostro da valer – ad andar stretto – dieci “Promessi Sposi” e passa, quelle che più mi addoloravano, erano riservate alla sanità di Bitonto. Ne ho registrate veramente tante: che sofferenza…
Conosco la storia plurisecolare del nostro ospedale, l’ho visto inesorabilmente declinare da fiore all’occhiello della Saub (sic!) con tutti i reparti a livelli di eccellenza assoluta, fino a divenire un contenitore di ambulatori a macchia di leopardo con un punto di primo soccorso, che, alla meglio, ti può fornire un cerotto, mai credendo alla necessità di rinunciare al concetto di “sanità ospedalocentrica” – che vale sempre per noi e mai per gli altri – e al potenziamento della medicina del territorio – e come si spiega l’addio all’Udt?. Persino le ambulanze sfreccianti nel nostro territorio sono diventate tutte “India” e non più “Mike“, essendo scomparso il medico da bordo, per miope decisione “octroyée“. Oh, quanti “Piani di Rientro” ho visionato: e ti facevano pensare più alle Zeppelin a posteriori che alla risistemazione dei posti-letto?
Tutta questa cinica spoliazione, in fondo, aveva un solo fine: accentrare tutto nel capoluogo, ognora più famelico.
Già, Bari. Una settimana fa, con un sentimento a mezza via fra malinconia e fierezza, ho partecipato alla cerimonia di intitolazione del Pronto Soccorso del Policlinico di Bari al dottor Vito Procacci, tragicamente scomparso quest’estate. Come prevedibile in tali occasioni, tutti gli insigni relatori hanno avuto sacrosante parole d’elogio per il professionista, di cui mi vanto d’essere concittadino. Ma, di più, mi hanno commosso proprio gli interventi, in convegni precedenti, del primario testé scomparso. Dalle sue parole sorridenti, trasparivano passione, competenza ed empatia, in quantità oceaniche. E Dio solo sa quanto ce ne sia bisogno oggi, che i pazienti si sentono soli e, spesso, circondati dal gelo.
“La nostra dev’essere una medicina dei deboli, di strada, di prossimità“. “Ognuno deve avere il coraggio di seguire la sua vocazione“. “Il medico deve essere il baluardo del diritto alla salute dell’uomo“. Si può riassumere in questo breve florilegio di aforismi il pensiero del dottor Procacci, del quale il presidente della Regione Michele Emiliano ha lodato il “carisma dell’uomo mite” e che il direttore generale dell’ASL Antonio Sanguedolce ha definito “leader silenzioso“.
Or bene, “I have a dream“, come diceva quell’eroe lì, che, infatti, fu ucciso: perché non costruire una nuova struttura ospedaliera in territorio di Bitonto, magari più verso la Murgia, dedicandola al grandissimo dottor Vito Procacci?
A chiunque dovesse impegnarsi per questa tanto improba quanto utopica impresa – immagino un “gruppo di battaglia” bipartisan, perché no? -, potrebbero essere eternamente grati tutti coloro che sono stati finora ingiustamente, delittuosamente obliati…