Chissà a cosa stava pensando quell’uomo dallo sguardo un po’ accigliato, due baffetti appena ingrigiti, una sigaretta pensosa perennemente fra le labbra.
Fermo, sugli scogli bianchi e puntuti della spiaggia di Riva del Sole, contemplava a lungo la distesa azzurra del mare, cercando chissà quali risposte ai perché crocifissi sull’anima.
Solo qualche giorno prima, aveva detto con fermezza, guardando negli occhi i giovani scout d’Italia: “La lotta alla mafia, il primo problema morale da risolvere nella nostra terra, bellissima e disgraziata, non deve essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, che coinvolga tutti, specialmente le nuove generazioni, le più adatte, proprio perché meno appesantite dai condizionamenti e dai ragionamenti utilitaristici che fanno accettare la convivenza col male, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e, quindi, della complicità“. Parole pesanti come macigni.
Ogni poco, dinanzi a quel placido ondare, socchiudeva gli occhi e sentiva il soffio del vento ed era sempre più convinto che Giovanni, l’amico, il collega, il giudice Falcone – che la mafia aveva barbaramente eliminato sradicando un pezzo di autostrada a Capaci, tanta era la paura della malavita e degli occulti registi politici dell'”attentatuni” – era ancora vivo.
E lui, Paolo Borsellino, pur sapendo che un vile silenzio avrebbe potuto salvarlo, ma un gigante della rettitudine non conosce etiche bassure, aveva il compito di incarnare la testimonianza di quelle indicibili verità che avrebbero portato – fra una velata minaccia dei piani alti, il tradimento di un ufficiale “punciutu” e l’ombra di indagini che avevano toccato gli intoccabili – allo sfacelo sterminatore di via D’Amelio, (a proposito, ma nel dì del 32esimo, doloroso anniversario, il comune di Bitonto ne ha onorato la memoria?), di lì a qualche giorno.
Il bitontino Giovanni Sinisi, storico direttore del celebre complesso residenziale sulla via per Giovinazzo, ricorda bene il magistrato: “Sì, fu nostro ospite all’inizio di luglio di quell’ormai lontano 1992, lo vedevo sempre a fumare e a contemplare il mare, guardato a vista dagli uomini della sua scorta. Quando ci siamo incrociati e abbiamo parlato, sia pure di sfuggita, mi apparve come un grande galantuomo“.
E trema di commozione e ammirazione la voce del nostro concittadino ed è la voce stessa del cuore di tutti gli italiani che non potranno mai dimenticare l’esempio di Giovanni e Paolo, gli Uomini che donarono a tutti noi la loro vita per la verità e la giustizia…