La scuola italiana moderna è nata un secolo fa con l’emanazione di una lunga ed articolata serie di decreti, fortemente voluta dal Ministro dell’Istruzione dell’epoca, il filosofo Giovanni Gentile, e dal governo Mussolini, da poco insediato e non ancora diventato regime.
La sua riforma fu uno dei provvedimenti più importanti e significativi del Novecento nonché più duraturi se si pensa che il percorso di studi è rimasto pressoché invariato fino ad oggi. In virtù della riforma gentiliana, inoltre, furono aperte tante scuole in città, paesi e villaggi di un’Italia in cui il tasso di analfabetismo era al 36% della popolazione nel 1921, per poi scendere al 15% prima della guerra (1940).
Chiaramente concepita come ascensore sociale per le classi più basse e fucina di professionisti e pubblici dipendenti, la scuola gentiliana negli ultimi trent’anni è stata però presa di mira da certo furore ideologico come l’ultimo baluardo da abbattere. Sono stati così rivisti gli impianti, i saperi, i contenuti, i compiti nell’intento di svuotarla per renderla un contenitore multifunzione, da usare con troppa disinvoltura e molto opportunismo politico.
Tant’è che le sono state addossate responsabilità sociali insostenibili, appannando (volutamente?) la sua funzione culturale. Si pensi alla subordinazione delle Conoscenze a non sempre ben definite Competenze ed Abilità, alla riforma devastante dei Licei e degli Istituti professionali, alla revisione dei programmi di studio, all’adeguamento a discutibili Direttive Europee, alla perdita di prestigio degli insegnanti.
Tutti questi aspetti rientrano nel progetto di progressivo smantellamento di una struttura, che in un secolo di vita ha garantito a tutti omogeneità di accesso, di trattamento, di servizi, di preparazione culturale, pur con innegabili difetti.
Il suo modello educativo, inoltre, è stato apprezzato a livello mondiale anche perché fondato sulla collegialità, sul merito, sulla disciplina, sulle regole, sulla serietà dell’impegno di docenti e discenti.
Il contrario di quanto si verifica oggi nelle aule, ormai diventate poligoni di tiro: maleducazione, disprezzo delle regole, ignoranza, propaganda politica, demagogia pedagogica, confusione di ruoli, individualismo, pressappochismo.
Fattori che, certo, impediscono di celebrare il secolo di vita di un pilastro fondante dell’identità italiana quale la Scuola.