Il complottismo. Un fenomeno sociale che, negli ultimi anni, si è imposto sempre più nell’opinione pubblica, influenzando il modo di interpretare eventi, notizie e informazioni. Si tratta della tendenza a credere in teorie che attribuiscono ad occulte élite economiche o politiche, l’origine di alcuni eventi tendenzialmente negativi o la gestione di fenomeni.
Le teorie del complotto hanno subito una rapida diffusione negli ultimi anni, con lo sviluppo dei nuovi mezzi di comunicazione. Ma sarebbe sbagliato pensare ad esse come ad un fenomeno contemporaneo. Tutt’altro. Si tratta di un fenomeno più antico. Teorie cospirative atte a spiegare grandi e piccoli eventi della storia e dell’attualità sono in circolazione da qualche secolo.
Un impatto importante lo ebbe la Rivoluzione Francese, che rappresentò un tale sconvolgimento che parte dell’opinione pubblica ad essa ostile iniziò ad additare come causa l’azione di oscure e terribili sette che agivano nell’ombra, finalizzate al sovvertimento delle istituzioni politiche e religiose del tempo. Tuttavia, se pensiamo al complottismo nella storia, l’esempio più famoso e più drammatico è quello dei famigerati “Protocolli dei Savi Anziani di Sion”. Un libro che, purtroppo, ha accompagnato la storia del ‘900, generando odio, ignoranza, pregiudizi e morte. Si tratta di una raccolta di 24 protocolli, in cui i capi della comunità ebraica mondiale descrivono il loro piano per conquistare il mondo e porvi, alla guida, un loro sovrano.
Inutile dire che di vero non c’è assolutamente nulla. Quelle pagine non sono altro che un grande falso storico (oggi parleremmo di “fake news”), creato dal plagio di opere precedenti e ideato dagli ambienti antisemitici russi e dalla polizia segreta della Russia zarista, l’Ochrana, che già in precedenza aveva promosso la redazione di articoli che individuavano negli ebrei la causa della crisi che in quel momento stava vivendo l’Impero degli Zar, reduce dall’umiliante sconfitta nella guerra contro i giapponesi e dalla diffusione del bolscevismo.
I Protocolli furono uno strumento utile per fornire una giustificazione alle persecuzioni avviate non solo nei confronti della minoranza ebraica, ma anche di socialisti e liberali, accusati di portare avanti cause e teorie economiche ideate appositamente dai Savi di Sion per creare caos e di indebolire l’impero russo, le sue tradizioni e, attraverso spregiudicate e ingannevoli operazioni finanziarie, anche la sua economia.
A nulla servì lo smascheramento dell’inganno e la dimostrazione della falsità dei Protocolli. La loro influenza si diffuse oltre i confini russi, arrivando in una Germania che, dopo la Prima Guerra Mondiale, era provata dalla pesante sconfitta militare e in forte crisi economica. La situazione drammatica che, agli inizi degli anni ’20 viveva la Germania fu terreno fertile per i Protocolli. Furono utili alla narrazione di una sconfitta non causata da colpe tedesche, ma da un piano degli ebrei. Furono citati più volte da Hitler e dalla propaganda nazionalsocialista e favorirono il più grande sterminio del ‘900: l’Olocausto.
Per fortuna non tutte le teorie cospirative sono servite da giustificazione di un progetto criminale come quello attuato dal nazionalsocialismo tedesco. Nel corso dei decenni, diverse sono state le teorie complottiste che hanno provato a fornire spiegazioni alternative a quelle ufficiali, giudicate da alcune frange dell’opinione pubblica ingannevoli e non attendibili, atte a nascondere la realtà.
Potremmo citare diverse teorie del complotto che hanno trovato spazio nell’opinione pubblica nell’ultimo secolo e hanno provato a dare una spiegazione alternativa a determinati eventi. Potremmo citare le teorie del complotto riguardanti l’attacco giapponese a Pearl Harbour che provocò l’ingresso statunitense nella Seconda Guerra Mondiale. O quelle riguardanti l’omicidio di John Fitzgerald Kennedy. Fino ad arrivare, in tempi più recenti, alle teorie che hanno messo in discussione la versione ufficiale sull’attentato dell’11 settembre 2001 negli Usa. Persino lo sbarco sulla Luna è stato messo in discussione da teorie volte a narrare una presunta verità alternativa. Tornando a tempi a noi più vicini, possiamo accennare a mille altre teorie, come quelle che narrano di aerei al soldo di multinazionali che, in segreto, spargerebbero sostanze nell’aria per fini loschi ma ignoti (le cosiddette “scie chimiche”). Ma non è questa la sede per esaminare nel dettaglio queste teorie.
Preferiamo concentrarci su due episodi della storia recente, a noi molto più vicini nello spazio e nel tempo, che sono stati accompagnati dalla diffusione di teorie volte a denunciare la presunta falsità delle versioni ufficiali e a proporre spiegazioni alternative: la diffusione della xylella fastidiosa nelle campagne pugliesi e la pandemia da covid 19.
Soffermiamoci, oggi, sul primo dei due fenomeni, rimandando l’altro all’appuntamento successivo di questa rubrica.
Scoperta nel 2013 in Puglia, in dieci anni si è diffusa nel tacco d’Italia, devastando e desertificando gli uliveti del Salento e arrivando anche nel barese, se pure, fortunatamente, a velocità oggi più bassa. È la più grave pandemia botanica del secolo, portata da un batterio in grado di uccidere quegli alberi maestosi e spesso secolari che popolano le campagne pugliesi. Un flagello contro cui ancora non esiste, che sta avanzando verso nord, minacciando i territori agricoli dell’Unione Europea e del bacino del Mediterraneo.
Senza addentrarci in dettagli scientifici che, in questa sede, sono di scarso interesse, quel che ci preme evidenziare è che, tra le reazioni che hanno fatto seguito al diffondersi della xylella e ai tentativi di contrastarla, c’è stato il diffondersi di teorie complottiste e antiscientifiche. Teorie volte o a negare l’esistenza di un batterio in grado di uccidere gli alberi o ad attribuire il tutto all’azione di grandi lobby economiche interessate a distruggere l’olivicoltura pugliese per piantare, al posto degli ulivi pugliesi, altre cultivar da esse create e sviluppate.
«I terreni sono desertificati e inquinati da sostanze chimiche e non riescono più a far nutrire le piante, facendole irrimediabilmente morire. La colpa, quindi, è tutta delle multinazionali che si sono macchiate di omicidio colposo e che adesso tentano di coprirsi usando la xylella».
Così disse, qualche anno fa, Gino Ancona, militante anarchico bitontino che per anni è stato tra i paladini delle teorie complottistiche riguardanti la distruzione degli uliveti pugliesi: «L’ulivo ha reso la Puglia la regione più importante al mondo per la produzione di olio extravergine d’oliva e per questo vogliono farla morire. Le multinazionali hanno deciso di distruggere la nostra agricoltura e che, dopo aver delocalizzato la produzione industriale, vogliono spostare i nostri prodotti dove dicono loro. Stanno dividendo il pianeta in aree di produzione e aree di consumo in modo tale che chi gestisce i traffici ha in mano tutta la vita del pianeta».
Le teorie complottistiche sulla xylella hanno trovato terreno fertile in una terra profondamente scossa dalla tragedia in atto, una terra che all’ulivo è legata non solo da un punto di vista economico, ma anche sociale.
«La xylella ha creato una cicatrice profonda perché l’ulivo non è solo una pianta – ha recentemente spiegato, in un’intervista al Da Bitonto, Stefano Martella, giornalista leccese autore del libro “La morte dei giganti” -. È una grande fonte di sostentamento economico, l’albero su cui si è formato il brand Puglia, in grado di portarci nei mercati internazionali. Molte masserie sono state ristrutturate e rivalorizzate perché attorno avevano un paesaggio contraddistinto da questi alberi secolari. È il simbolo di una memoria collettiva tramandata di generazione in generazione. È la connessione con padri, nonni, bisnonni. L’ulivo, dal punto di vista antropologico, ha cambiato il destino della società occidentale, sin dall’antica Grecia, quando iniziò a diffondersi nelle nostre terre. È al dentro delle lotte sociali per il sostentamento di intere famiglie. Ha un ruolo cruciale nello sviluppo dei nostri centri storici, essendo la produzione olivicola centrale nella storia delle nostre città. Molte città, nel loro stemma, hanno l’ulivo. Tutto ciò si sta sgretolando, con un grande effetto domino dalle ripercussioni ancora oggi imprevedibili».
Il giornalista salentino si sofferma anche sulla cassa di risonanza che il web e i social network hanno dato al complottismo, propagandato anche da personaggi famosi come Nando Popu, cantante dei Sud Sound System e Sabina Guzzanti: «I social network hanno dato parola a tutti. Prima chi si dedicava ad un determinato settore ne parlava. C’era una libertà di pensiero filtrata da corpi intermedi oggi assenti. Ora tutti possono dire di tutto e diffondere viralmente quanto detto. Specialmente personaggi che sono opinion leader di un territorio. È nato un incendio su larga scala, fino all’intervento della procura che, accogliendo i ricorsi fatti dagli attivisti, ha ritardato le misure di contenimento».
Per Martella, infatti, le responsabilità sono da ricercarsi anche nel mondo della scienza, della magistratura e della politica: «C’è necessità di un’autoanalisi del mondo della scienza, che fa grandi scoperte che spesso non è in grado di comunicare. Lo si è visto con xylella e pandemia».
Alla politica, invece, c’è da rimproverare la miopia e l’incapacità di prendere decisioni, assecondando ora un fronte, ora l’altro, come è talvolta accaduto in Puglia: «Viviamo in un’epoca in cui la politica è ossessionata dal consenso immediato, in vista delle elezioni successive e non vede quello che c’è oltre». Senza dimenticare che ci sono state forze politiche che, inizialmente, hanno abbracciato la linea complottista, come il Movimento 5 Stelle.
Alla magistratura, infine, si biasima l’aver dato credito ad alcuni esposti inquinati da teorie fantasiose e non supportate da seri elementi di prova, avviando inchieste che hanno ostacolato e rallentato le misure di contrasto.
In generale, possiamo dire che le radici del complottismo sono da ricercarsi nella naturale predisposizione umana a cercare spiegazioni facili per ciò che non è immediatamente chiaro, per fornire una spiegazione semplice e univoca per eventi complessi, eliminando così l’incertezza, l’ambiguità, la complessità che è tipica dell’umano. Una tendenza che si palesa spesso, quando ci troviamo di fronte a eventi complessi o spaventosi, per la nostra necessità di mantenere un senso di controllo cercando connessioni tra elementi diversi. Anche quando le prove sono scarse o inesistenti. Chi sposa teorie del complotto può spesso provare un senso di appartenenza a una comunità di persone che condivide le stesse convinzioni, offrendo un senso di identità e di scopo.
Internet e i social network hanno incrementato velocità, ampiezza e pubblico con cui le informazioni si diffondono, sfruttando anche una diffidenza verso le istituzioni frutto della crisi di legittimità che stanno vivendo le democrazie occidentali, tra cui quella italiana. La crescente sfiducia verso istituzioni come governo, media e grandi corporazioni ha creato un terreno fertile per il sospetto e il dubbio. E, quando la fiducia nelle fonti tradizionali di informazione vacilla, le persone sono spinte frequentemente a cercare spiegazioni alternative.
Ci sono poi da considerare altri fattori, come paura e Incertezza. Periodi di incertezza, crisi o cambiamenti rapidi possono portare le persone a cercare spiegazioni semplicistiche e rassicuranti a questioni complesse. E offrono un grande cattivo a cui attribuire la responsabilità di fenomeni più complessi e, magari, non immediatamente comprensibili, come, appunto la diffusione della xylella, le cui origini sono da ricercarsi nella globalizzazione, con l’aumento degli scambi commerciali da un lato all’altro del pianeta che incrementa la facilità e la velocità di spostamento di agenti patogeni, e nella monocoltura dell’ulivo, che ha privato il territorio di argini naturali.
Le teorie del complotto sono in grado di offrire spiegazione più semplice e grande cattivo a cui attribuire colpe. Esattamente il meccanismo alla base del populismo, di cui il complottismo può essere sia causa che effetto. Allo stesso modo in cui, ad esempio, il populismo antipartitico ha semplicisticamente additato i tradizionali partiti di massa come responsabili della corruzione.