Può capitare, in una magica serata molfettese, concepita dalla impeccabile “Fondazione Vincenzo Maria Valente” nell’Anfiteatro di Ponente, scrigno di sogni sotto il cielo stellato di San Lorenzo, può capitare, dicevamo, che il bimbo che non ha mai smesso di palpitare dentro di noi, sgorghi in un omino con cappellone nero da cowboy, pizzetto innevato, camiciola fiorata, jeans rossi e una seducente chitarra elettrica: Sergio Caputo. Cantautore geniale e raffinato musicista, capitolo meraviglioso, struggente e un poco malinconico della nostra vita, questo artista autentico, alla guisa di tutti quelli che lavorano con le sette note, ha inciso non solo dischi, ma anche cuori, nei decenni di carriera. Il 68enne romano, con propaggini genealogiche appule, ha firmato indimenticabili capolavori, che, mescidando con studiata maestria e maliosa contaminazione jazz, swing e pop, con scorribande nella tradizione latinoamericana, con levità e ironia, hanno rappresentato la colonna sonora della nostra giovinezza. E così, scorgi in una voce, la tua età più bella che finisce per riverberarsi, tanto misteriosamente quanto dolcemente, sugli altri capitoli della nostra esistenza, quando magari il fanciullino pian piano rassegnato è andato a nascondersi dietro affanni e mestizia. L’evento, inserito nella rassegna pluripatrocinata “Concerti d’estate” che si concluderà il 20 agosto, ha visto musicisti sublimi accompagnare il cantautore, quali Fabiola Torresi (basso e voce), Alessandro Marzi (batteria e voce), Paolo Vianello (piano), Alberto Vianello (sax), Luca Iaboni (tromba) e Lorenzo De Luca (sax alto), sbucati su un vasto palco illuminato tanto da sembrare una “astronave che arriva”; ha sbalordito l’inquilino cucciolo che ci abita nell’anima e controlla se per caso non sia un “sabato italiano”, nonostante il calendario torvo segnali il dì a Giove dedicato, ricorda d’aver visto arrivando in quel posto fatato uno “spicchio di luna” che lo aveva incantato, e sono farfalle nello stomaco che neppure una “citrosodina granulare” potrebbe curare, si sente quasi volare e gli verrebbe da implorare disperato a quel meraviglioso cantastorie: “Mettimi giù”, si sente vago di stupore come un “Garibaldi innamorato” qualunque, non ha più dubbi: è una “metamorfosi”. E va via da quell’angolo di mondo senza tempo, col petto colmo di bellezza, felice e impavido, pronto ad affrontare le brutture della quotidianità. E allora, eternamente “Merci beaucoup”, caro Sergio.