Questa domenica, la prima del mese di dicembre e la quint’ultima dell’anno, la nostra rubrica parla, seppur indirettamente, della nostra città. Di un uomo nato a pochi chilometri da qui, che ha cugini bitontini, e che negli anni ’70 ha fatto la storia del pugilato mondiale. Soprattutto con il match andato in scena esattamente 40 anni fa, il 30 novembre 1979, negli States.
Ma come spesso accade, prima dei fatti ci sono gli antefatti. Non semplici aggiunte o orpelli, ma mattonelle di base per reggere tutto il sistema.
Il protagonista è Vito (Gabrielo) Antuofermo, che nasce a Palo del Colle nel 1953 e a cui la sorte non riserva, purtroppo, un destino diverso da quello di tanti altri suoi coetanei e conterranei. L’emigrazione negli Stati Uniti insieme ai genitori – la partenza proprio da Bitonto – a soli 15 anni. Il momento grimaldello della sua vita, perché Vito scopre, per caso, di avere una splendida dote nascosta. Sa fare benissimo a pugni. E lo scopre per caso, durante una di quelle feste che si organizzavano a Brooklyn, dove viveva. Si allestivano tavoli, si mangiava e si ballava, si stava insieme in allegria tra giovani, a sentire musica. In una di quelle serate si è finito col litigare per le ragazze, vola qualche cazzotto di troppo e lui è portato via dalla polizia. Ma entra in un mondo che sarà il suo per tantissimi anni. Quello del pugilato, e con subito un mito da eguagliare: Nino Benvenuti.
La carriera inizia nel gennaio 1969, e già l’anno dopo arriva il primo traguardo, il Golden Glowes. La Federazione italiana, che ha l’occhio vigile pur al di là dell’Atlantico, lo fa tornare a casa, e nel 1976 Antuofermo è già pronto a combattere per il titolo europeo, conquistato a Berlino contro il tedesco Dogge. Si conferma con il francese Warusfel, perde la corona con il britannico Hope, un cagnaccio del ring, e poi, dopo una sequenza di vittorie convincenti, si garantisce l’opportunità di battagliare per la corona mondiale dei pesi medi.
È il 30 giugno 1979. Sconfigge a Montecarlo il detentore del titolo, l’argentino Hugo Corro, con verdetto ai punti che lascia qualche dubbio nonostante il dominio di Vito nelle ultime, sanguinose riprese, e la carriera del ragazzo pugliese tocca l’apice.
Esattamente cinque mesi dopo deve difendere lo scettro da un altro cagnaccio della boxe. Un “meraviglioso”, così come era soprannominato. Martin Hagler. Pelato, dal pugno che fa male, eccellente abilità sia in guardia destra che in guardia sinistra, il suo stile non conosce pecche e in qualità di incassatore si fa rispettare.
Lo scenario non è più il Principato di Monaco, bensì il Caesar’s Palace di Las Vegas. È il 30 novembre 1979. Appena 40 anni indietro.
L’incontro è durissimo, soprattutto perché fin da subito Hagler assalta l’italiano con veemenza e porta colpi che segnano la figura del pugile di Palo del Colle, che tuttavia, pur debilitato da broncopolmonite, ha coraggio e resistenza da vendere e non indietreggia di un millimetro, dimostrando anche una capacità quasi al limite dell’umano nel sapere incassare i colpi.
Anche con 70 punti di sutura sul volto e con tagli dappertutto. E così, nonostante il potentissimo avversario le tenti davvero tutte per metterlo al tappeto, l’esito dell’incontro arriva soltanto ai punti. E anche qui fa discutere, perché finisce in parità.
Il titolo, miracolosamente, è difeso, al termine di un incontro da leggenda. Lo perde, però, sempre ai punti e con molte polemiche, nel match successivo con Alan Minter, con cui va ko anche nella rivincita del 1981.
Sconfitte che non hanno fatto scendere, però, Vito, dai libri di storia della boxe.
Nel 1984 mette definitivamente i guantoni nel cassetto e per lui, nato e cresciuto con la cultura del lavoro e sacrificio, inizia un’altra vita. Dove c’è spazio davvero per tutto, dalla distribuzione di Coca Cola all’apertura di una pizzeria, passando pure per il cinema.
Chi non ricorda la sua faccia da gangster ne “Il Padrino-Parte III” a fianco di un mito come Al Pacino? Chi ha dimenticato la sua parte in “La bombà” con Alessandro Gassman?