Mi è capitato di leggere, su National Geographic Italia, un reportage su uno dei tesori sconosciuti della cultura pugliese: la Grotta dei Cervi. Incuneata lungo il litorale salentino, in località Porto Badisco, vicino a Otranto, provincia di Lecce, questa meraviglia antropologica lascia esterrefatti e allo stesso tempo attoniti. Si tratta infatti di una grotta naturale costiera, all’interno della quale negli anni ’70 un team speleologico salentino scoprì quello che viene consierato come il complesso pittorico più imponente del Neolitico europeo. Infatti sono state rinvenute delle raffigurazioni parietali definite dai giornalisti di National Geographic come degli autentici “arabeschi nell’oscurità”, vista la loro frequente indecifrabilità.
Realizzate con il guano subfossile di pipistrello, queste immagini, o meglio pittogrammi (se ne contano circa 3000), compongono uno dei patrimoni culturali più importanti del Neolitico del mondo occidentale, tanto che molto spesso la Grotta dei Cervi è stata definita come la cappella Sistina del neolitico europeo. L’aspetto paradossale di tutto ciò è che, fino ad oggi, non esistono pubblicazioni scientifiche sulla Grotta, che continua a rimanere sconosciuta ai più. Nonostante tutto questo, ci sono stati degli studi che hanno cercato di mettere in luce i significati connessi ai pittogrammi.
Si pensa che la Grotta dei Cervi sia stata un luogo di culto per le popolazioni neolitiche salentine, tra 8000 e 5000 anni fa. Per gli uomini dell’epoca, dediti all’agricoltura e all’allevamento, era fondamentale attribuire un ruolo magico-propiziatorio a dei simboli come quelli della Grotta, considerata come metafora della Dea Madre, popolare fra le comunità agricole. Così il grande affresco della sala centrale rappresenterebbe una scena di caccia, nonostante l’estrema stilizzazione dei pittogrammi non consenta di confermare definitivamente il tipo di animale rappresentato. Canidi, capridi, asini selvatici ormai estinti affollano confusamente in ghirigori di linee le pareti della grotta, custodendo gelosamente un significato arcano che forse non verrà mai decifrato.
Su una parete è possibile scorgere quattro uomini con copricapi differenti, sempre stilizzati. “Probabilmente i capi di diverse tribù dislocate in luoghi distanti, riuniti per un’importante occasione legata al culto” afferma Medica Assunta Orlando, direttrice del Museo Civico di Maglie. “La Grotta dei Cervi – prosegue– era il loro punto d’incontro, una sorta di santuario che richiamava genti anche piuttosto lontane”.
Ancora oggi la Grotta dei Cervi non è accessibile al pubblico. Gli ambienti interni appartengono allo Stato, mentre il terreno esterno ai privati, fortunatamente interessati alla salvaguardia del posto perchè hanno investito nelle vicinanze in strutture turistico-ricettive. Per fare in modo che tutti possano usufruire di questo tesoro pugliese, è stata avviata un’intesa con il Comune di Otranto perchè nel Castello Aragonese sia possibile effettuare nel futuro una “visita virtuale” della grotta attraverso proiezioni in 3-D. Sarebbe l’unico modo per rivivere questa tanto sconosciuta quanto inestimabile testimonianza del Neolitico pugliese.