Siamo giunti alla sesta ed ultima “puntata” della nostra mini-rubrica Bitontini d’Eccellenza. E con chi potevamo chiudere se non con il capocannoniere della categoria? Kikko (come lo chiamano ormai tutti) Patierno era probabilmente il bitontino più atteso di tutta l’Eccellenza pugliese 2017-2018 e non ha deluso le attese: miglior marcatore assoluto della regular season e bomber implacabile anche nella delicatissima fase-playoff cha portato l’Omnia alla prima Serie D della sua storia. Musica Maestro, buon ascolto a tutti!
Ciao bomber. Prima stagione in carriera con una maglia della tua città e prima promozione in D nella storia dell’Omnia: tu e gli “arancioni” state vivendo un autentico sogno. È ora di svegliarsi e pensare alla prossima stagione o è ancora presto…?
“Adesso ci godiamo la vittoria, che è stata assolutamente meritata! Siamo stati sempre dietro a rincorrere, ma si è creato un grandissimo gruppo con il passare dei mesi e ciò ci ha permesso di ottenere l’unico obiettivo di squadra da centrare a tutti i costi: la Serie D. Ora ci vuole anche un bel riposo…”.
Circa un anno fa, la decisione di scendere in Eccellenza e sposare l’ambizioso progetto-Omnia. Sicuramente non sarà stata una scelta facile, ma oggi possiamo senz’altro affermare che non ti sei sbagliato…
“In principio, si trattò di una semplice chiacchierata per ‘accontentare’ il D.G. Francesco Mancazzo. Venivo dai 14 gol in cinque mesi a Nardò, in D, di richieste ne avevo… Ma il Presidente Rossiello mi ha letteralmente rapito, ‘quando si entra nella mia azienda, difficilmente si esce senza un accordo’, mi disse. E così è stato, ho rifiutato piazze importanti, ma con mia moglie incinta della secondogenita e con la possibilità di raggiungere traguardi importanti nella mia città è stato impossibile dirgli di no. Non mi sono sbagliato, certo, infatti ho raggiunto entrambi gli obiettivi prefissati alla vigilia della stagione: capocannoniere in Eccellenza e promozione”.
Eppure l’annata omniana non è decollata con i tempi e i modi che tutti si aspettavano, giocatori inclusi. Ci spieghi perché?
“All’inizio è mancata un po’ l’organizzazione, nel senso ‘largo’ del termine, perché non c’erano ancora l’impostazione né la mentalità della grande squadra, eravamo una matricola a tutti gli effetti… Con l’arrivo di mister De Candia sono cambiate tante cose, si è cominciato a prestare attenzione a tanti piccoli (ma fondamentali) particolari, quelli che poi fanno la differenza nel lungo periodo…”.
L’arrivo di mister De Candia non ha coinciso, però, con un immediato rilancio, c’è voluto tanto tempo affinché le sue idee di gioco venissero recepite a pieno dalla squadra. Con il senno del poi e con una Serie D ormai in cassaforte, quali sono stati i meriti maggiori del vostro allenatore?
“Sicuramente la sua esperienza e il suo modo di pensare ci hanno portati ad essere un gruppo vero con una mentalità da grande; a livello tattico, il passaggio dal 3-4-3 al 3-5-2 è stato secondo me decisivo. Con il primo modulo si poteva pure fare bene, ma con i giocatori giusti fin dal primo momento”.
Non calcavi i campi della massima categoria dilettantistica regionale da sei stagioni. Che Eccellenza hai trovato, dopo le tue positive esperienze in D e C?
“Quando ho accettato l’Omnia ero consapevole che non sarebbe stato facile riadattarsi all’Eccellenza. La prima cosa che mi son detto è stata: ‘O mi calo subito nella categoria o soffrirò…’. Di fatti, fino a dicembre, non sono stato quello che volevo e pensavo di poter essere. Ho trovato il solito Campionato difficile, competitivo, incerto e ritornarci dopo aver giocato in C e D non è stato affatto semplice, anche se molta gente pensa sia automatico scendere di categoria e continuare a segnare, a far bene”
Chi conosce il tuo mondo sa bene che la prima forza del calciatore e dell’uomo “Kikko” Patierno è la famiglia. Cos’hai sentito dentro, quest’anno, mentre giocavi, segnavi e vincevi davanti ai tuoi affetti sempre presenti e numerosi?
“Le mie figlie e mia moglie sono le cose più importanti che ho, mi supportano e sopportano… Fanno sacrifici enormi, infatti, volevo ringraziare ancora una volta tutta la mia famiglia, papà, mamma, sorelle e nipotini perché mi seguono dappertutto e da sempre. Sono loro che mi fanno rendere di più anche in campo, mi donano serenità”.
A proposito di gol, ne hai siglati più di tutti anche stavolta, non deludendo le aspettative né di chi ti ha ingaggiato né di chi ti ha seguito dalla tribuna. Quando hai capito di poter diventare una prolifica “macchina da gol”? Chi sono stati i tuoi maestri, i tuoi esempi, coloro che senti di dover ringraziare per averti fatto diventare il calciatore che sei oggi?
“Quando ho fatto il mio primo anno di Serie D – a Vigevano – mister Bigica, da esterno o mezz’ala, mi spostò in avanti. L’anno dopo, al San Paolo in Eccellenza, con Bitetto in panchina, abbiamo fatto benissimo in attacco io e Loiodice, entrambi ‘under’. Infine, vorrei ricordare il primo anno a Teramo con mister Cappellacci, dove in attacco giocavo con Bucchi (fratello di Cristian, ex Serie A, ndr) e i fantastici mesi a Nardò, quelli sì che mi hanno dato la reale consapevolezza di poter segnare tanto e dovunque…”.
Ma non è solo il tuo innato fiuto del gol che esalta i tifosi, ciò che impressiona tutti quando giochi è la tua propensione al sacrificio, quelle corse e rincorse a perdifiato che ti trasformano sempre nel primo difensore della squadra. Come fai a “sbatterti” in campo dal primo all’ultimo minuto senza perdere lucidità sotto porta? Neanche quando ti presenti (spesso) sul fatidico dischetto…
“La mia prima qualità è la corsa, il sacrificio. Non sto a guardare gli errori degli altri, metto la testa sotto e corro, corro… Faccio vita sana, è la base, riposo bene e non salto mai un allenamento. Per me, rincorrere gli avversari e recuperare palloni equivalgono a segnare dei gol”.
Parlando di “dischetti”, non possiamo non tornare a quell’incredibile rigore contro l’Afragolese. Ce lo racconti? Dubitiamo ti sia già capitata una roba simile in carriera, di tale importanza poi…
“Mentalmente, sul rigore di Loseto mi sono già messo l’anima in pace che sarebbe stato decisivo il mio. Ed ero convinto di segnare. Ho battuto una ventina di rigori in carriera, praticamente tutti allo stesso modo, una volta ho cambiato ed è andata male… Sul rigore contro l’Afragolese non ho avuto nemmeno il tempo di realizzare l’errore, è stato tutto troppo veloce…”.
Hai 27 anni ed hai già pregustato il dolce sapore del calcio professionistico. Pensi che sia passato per sempre quel treno o ti ci vedresti di nuovo a bordo? Magari a Bitonto, chissà…
“Penso che un giocatore a 26-27 anni trovi la sua giusta dimensione. Mi sento un giocatore completo a quest’età, maturo e convinto per qualsiasi categoria. Potrei andare in doppia cifra ovunque… Se il Presidente intenderà ancora puntare su di me, sono sicuro che non farà una squadra ‘normale’, ma importante anche per la D. E chi lo dice che un nuovo treno per il professionismo non possa passare per me proprio da Bitonto…!? Giocare e vincere per la mia città è stato bellissimo, non poniamoci limiti!”.