Con il numero di Ottobre 2017, riprende l’appuntamento mensile con la rubrica del Da Bitonto “La parola alla difesa”, spazio dedicato all’approfondimento, in chiave giuridica, dei fatti di cronaca giudiziaria che interessano il nostro territorio.
Una delle tematiche di cui si ritiene sia sempre giusto e costruttivo discutere consiste, per l’appunto, nello stalking o, come nominato all’interno del nostro codice sostanziale, nel reato di atti persecutori ex Art. 612 bis C.P..
In questo articolo, tuttavia, ci occuperemo di una ipotesi ben circoscritta del reato di atti persecutori, ascrivibile all’ipotesi aggravata nel caso in cui la condotta persecutoria sia posta in essere tramite web.
Tale nuova connotazione dello stalking veniva introdotta, quale ipotesi aggravante, con il D.L. 14 Agosto 2013 n.93 la quale, pur essendo apparentemente di facile comprensione, nasconde problemi di esatta delimitazione nell’ambito applicativo.
La ratio che giustifica il trattamento sanzionatorio più severo rispetto al reato base sta, infatti, nella potenziale maggiore diffusività dell’offesa derivante dallo stalking commesso mediante alcuni strumenti informatici, quali sono, per esempio, i social network.
La vittima, infatti, è perseguitata non soltanto nella sfera delle sue abitudini private, ma anche in quella delle sue relazioni personali, con una offesa potenzialmente in grado di estendersi ad una sfera illimitata di relazioni personali che finiscono con l’essere condizionate, potenzialità di offesa illimitata non alla portata di uno stalker che si limiti a seguire la vittima fino a casa, atelefonarle, o a cercarla nei luoghi fisici che frequenta.
Se, però, questa è verosimilmente la ragione dell’aggravamento del trattamento sanzionatorio, allora occorre porsi il problema se l’applicazione dell’aggravante scatti soltanto quando lo strumento informatico scelto dal persecutore comporti questa potenzialità astratta di maggior offesa agli interessi tutelati dal reato oppure in ogni caso in cui l’offesa avvenga mediante l’utilizzo di uno strumento informatico.
La cassazione ha, infatti, già giudicato reato l’invio di plurimi sms alla persona offesa idonei, insieme ad altri comportamenti, a condizionare le abitudini di vita, ma sms ed email sono casi di stalking a distanza non idonei ad arrecare alla persona offesa un danno maggiore rispetto alle condotte tipiche degli atti persecutori, poiché non raggiungono una potenzialità indifferenziata di destinatari, ma solo la persona offesa.
La lettera della norma, tuttavia non introduce delimitazioni nel campo di applicazione della nuova aggravante, che sembra deve riguardare ogni caso di stalking commesso con strumenti informatici o telematici è poi compatibile con quella ad effetto speciale prevista al comma successivo dello stalking commesso da persona travisata (di cui si parlerà nei prossimi mesi).
Se, infatti, l’uso della rete per perseguitare una persona avviene in forma anonima, si realizzano contemporaneamente gli elementi costitutivi sia dell’aggravante della maggiore insidiosità di una persecuzione portata da un soggetto di cui non si conosce l’identità e di cui non si sa, quindi, fino a che punto potrà fare del male.
La Suprema Corte di Cassazione ha puntualizzato che il delitto di atti persecutori è reato abituale che differisce dai reati di molestie e di minacce, che pure ne possono rappresentare un elemento costitutivo, per la produzione di un evento di “danno”, consistente nell’alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura, o, in alternativa, di un evento di “pericolo”, consistente nel fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva (Sez. 3, n. 9222 del 16/01/2015).
La caratteristica fondamentale dell’incriminazione in oggetto è la reiterazione delle condotte che rappresenta il predicato dell’abitualità del reato, per la cui integrazione la giurisprudenza ha ritenuto sufficienti anche due sole condotte (Sez. 5, n. 46331 del 05/06/2013).
Quanto al profilo soggettivo, la Corte chiarisce che lo stalking è un reato abituale di evento assistito dal dolo generico, il cui contenuto richiede la volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell’abitualità del proprio agire, ma non postula la preordinazione di tali condotte, elemento non previsto sul fronte della tipicità normativa, potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l’occasione (Sez. 5, n. 43085 del 24/09/2015).
Le dichiarazioni delle persone offese, inoltre, possono costituire prova della responsabilità dell’indagato, sempre che ne venga verificata l’attendibilità ed in concreto l’attendibilità delle p.o.viene compiutamente considerata anche in relazione ai plurimi elementi di riscontro, quali ad esempio l’utilizzo di account intestati a soggetti di fantasia volti ad occultare la propria identità.
Con l’utilizzo e la diffusione di sempre nuovi mezzi di comunicazione che rendono qualunque soggetto sempre raggiungibile e collocabile in un dato momento e in un dato spazio, risulta assolutamente corretto l’orientamento giurisprudenziale che attribuisce peso e valore a tutte quelle condotte poste in essere via web, alla luce di quanto oggi quel mondo virtuale vada a condizionare le nostre esistenze umane.