Ci addentriamo oggi in una delle
questioni più spinose del panorama musicale.
L’argomento è molto controverso
perché si perde nei meandri del gusto personale e dei punti di vista, ma
cercherò in queste mie riflessioni di mantenermi il più possibile obiettivo.
Innanzitutto, che cos’è la musica classica?
La definizione di classico
riguarda, etimologicamente, tutto ciò che è entrato in un canone, un
campionario di capolavori della letteratura, delle arti figurative, del cinema
e della musica, tutto ciò che ha costruito la propria fortuna attraverso il
tempo. Classico non è altro che il riconoscimento dato dai posteri ad opere del
passato (più o meno recente) di valore e significato tali da poter assurgere a
campione di un’intera tradizione e a modello per gli artisti successivi.
Tradotto in termini social, è classico chi ha molti followers, mapost mortem e con un apparato pubblicitario ridotto ai minimi termini
(Dante non ha mai pagato un fiorino per far vendere la Divina Commedianelle scuole).
Sembra molto lontano dal concetto attuale di musica classica,
no? Per quanto riguarda essa, infatti, inizialmente – nel primo Ottocento – si
comprendeva grossomodo tutto ciò che è stato composto nel periodo prettamente
tonale, da Bach a Beethoven (modelli prediletti da intere generazioni di
musicisti), fino ad estendersi per osmosi agli autori più recenti ed a quelli
più antichi.
Il risultato di questa operazione è una mutazione sostanziale di
significato: musica classica, oggi, è ciò che non è pop, rock, folk, metal
ecc… ossia un semplice genere, non più una selezione. Frutto dell’opinione
comune è oggi, infatti, l’assunto secondo cui la musica classica è musica
suonata con strumenti tradizionali (pianoforte, violino, flauto, oboe ecc…),
in una sorta di continuità timbrica con il passato. Adottato questo presupposto
non si può che essere ingenuamente d’accordo col fatto che gente come Allevi,
Einaudi, Clayderman, Tiersen, Sakamoto ecc… siano musicisti classici, col
disappunto di molti.
C’è però da tenere presente anche un’altra caratteristica
tradizionalmente attribuita alla musica classica: la scrittura. Per convenzione
la sottile linea di confine tra musica colta e musica popolare è stata la
trasmissione per iscritto della prima, resasi indispensabile man mano che gli
organici si ampliavano ed aumentava la complessità delle composizioni.
L’utilizzo della notazione musicale non è però importante in sé e per sé,
quanto per la possibilità che fornisce all’interprete di aderire quanto più
possibile al pensiero del compositore. Non è infatti la scrittura da sola ad
essere un discrimine, in quanto in qualsiasi genere di musica si ricorre oggi
alla carta, anche solo per leggere gli accordi di una canzone.
La musica colta
non è musica scritta, è musica esatta.
Musica, cioè, che presuppone un
grado di precisione altissimo e lascia pochissimo spazio alla rielaborazione di
un interprete (se non in rari casi, vd. le cadenze improvvisate nei concerti
solistici).
Musica, ancora, che con una sola nota fuori posto, aggiunta o
sottratta, diventa altro. Provate a confrontare online due versioni differenti
di una sonata qualsiasi di Beethoven e fate lo stesso con la canzone Amandotidei CCCP e di Gianna Nannini.
Differenze minime riscontrerete nella prima
coppia, estreme nella seconda.
A questo punto ci si potrebbe anche arrischiare
in un ragionamento al contrario: dato che la musica colta – e quindi quella che
oggi è diventata classica – richiede accuratezza e meticolosità per esprimere
al meglio il pensiero del compositore, non è musica colta né classica ciò che
per raggiungere lo stesso fine è suscettibile di variazioni –
dall’accompagnamento, agli abbellimenti, cambi di ottava, timbro ecc… –
secondo la sensibilità dell’interprete.
Difficilmente la musica degli artisti
citati qualche riga sopra può reggere questo requisito, seppure sia scritta e
quindi in un certo qual modo fissa ed esatta. Segnalo a tal proposito
una pagina Facebook stupenda, Siamo tutti Allevi,
in cui si invitano i musicisti di tutta Italia a comporre musica alla maniera
del maestro ascolano. I risultati sono sorprendentemente simili all’originale.
Non vorrei generare, però, con questa mia presa di posizione fraintendimenti:
anche a me capita di ascoltare Allevi. Semplicemente perché è orecchiabile,
anzi lo è molto di più di qualsiasi cosa scritta da Pierre Boulez, Luigi Nono,
John Cage e tanti altri avanguardisti portati avanti dal mondo accademico. Si
tratta però, per i miei gusti, di junk music, musica da fast food
insomma, da consumare in piedi, di sfuggita e senza necessità di concentrazione
alcuna.
L’avanguardia citata prima, volendo continuare la metafora alimentare,
è al contrario cucina sofisticata, costosa e davvero poco nutriente e saporita.
Intorno a questi due eccessi però, si muove principalmente il mercato della
presunta musicacolta prodotta oggi: il commerciale e
l’avanguardia; il primo che trova la sua ragion d’essere solamente nel consumo
e nella vendita, senza pretese intellettuali, il secondo supportato dalla sola èliteaccademica e mai veramente alla portata di tutti.
Nel mezzo di questi due opposti,
nascosti al buio della mancanza di interessi economici rilevanti, si collocano
quei compositori che concretamente portano oggi avanti la tradizione musicale
italiana. Gente fuori mercato semplicemente perché poco manipolabile.
I più
fortunati compongono musica per immagini (penso ad esempio a Franco Piersanti),
ma la maggior parte si mantiene in bilico sul confine tra l’anonimato e le
piccole realtà provinciali. A tal proposito, mi permetto di consigliare
l’ascolto di due brani, rispettivamente di Federico Biscionee Andrea Marena,
compositori eccellenti, che ho avuto modo di conoscere e frequentare
personalmente[1].
Cosa manca loro per arrivare al successo di Allevi? L’interesse mediatico, solo
questo. L’affermazione globale della junk music mal camuffata
sottintende che il pubblico ha sete di musica classica: il mercato non solo è
possibile, c’è già! E se si investisse su gente effettivamente capace, i
risultati sarebbero cento volte più redditizi rispetto ad Allevi e compagnia
bella.
E se si considera la cultura musicale un settore poco remunerativo, si
legga a tal proposito dell’Opéra di Lione.
Che cosa aspettiamo ad investire nella nuova musica classica?
[1] Naturalmente ci sono tanti altri
compositori meritevoli di essere citati, qui ha prevalso il criterio della
conoscenza personale, ma nei prossimi articoli verrà dato spazio anche ad altri
compositori meno noti.