Sin
dall’antichità le balze dell’alta murgia erano ricoperte da un grandioso
mantello boschivo esteso a terrazze degradanti sin verso il mare
Adriatico.
Vi era anche una flora mediterranea ed una fauna ora del tutto
scomparsa.
Tra
gli animali selvatici che infestavano quei territori si annoverava il lupo
d’Abruzzo, la cui salvaguardia è ora oggetto di grande attenzione da parte
dello Stato. Resti di tali animali sono stati ritrovati in numerosi anfratti del luogo.
Il
ritrovamento di una tegula repertanel fondo rustico di Torrequadra, sulle balze verso il confine di Altamura, nel
predio del Conte Eustachio Rogadeo, tegulaora irreperibile, era conservata a Napoli dagli eredi del grande studioso tedesco
Mommsen e riportava la seguente iscrizione: D(IIS) M (ANIBUS) FORTUNATO
CAESARIS N(OSTRO) SER(VO) LUPARIO ULPIA M//ENE PATRI BENE MERENTI POSUIT VIX/.
E’,
questa l’unica testimonianza esistente nel cuore della Peucezia relativa ad un
LUPARIUS, ossia ad un cacciatore di lupi, padre benemerito, cui la figlia ULPIA
dedica il monumento funebre.
La
nostra iscrizione attesta l’esistenza di vasti latifondi imperiali a confine
tra gli agri botontinus, genusinus e silvinus. Relitti di questi latifondi sono
i corpi feudali e le proprietà demaniali della Murgia della Città.
La
Selva, o Bosco di Bitonto si estendeva sino a pochi km dalla nostra città ed il
suo disboscamento è avvenuto a partire dagli inizi del XVIII sec. Residua
testimonianza degli alberi che componevano la Selva è la Quercia roverella
(Vescègghie), che si trova di tanto in tanto lungo le strade che portano alle
Matine.
Vasti
appezzamenti delle Murge erano di proprietà demaniale, o di enti ecclesiastici,
come si attesta nella donazione fatta da Roberto di Loretello il quale, nel
1172, pro salute animarum suorum e
per il perdono dei peccati, concede all’abbazia di San Leone circa 30 vigne in
località Naczaricum (Bazzarico di Mariotto), zona che costituirà il primo
nucleo del futuro BOSCO DELL’ABATE o di SAN LEONE.
Nel
1561 l’Università di Bitonto comperava per 300
ducati et tre salme di oglio la Selva di Bitonto, detta di San Demetrio da Mariano Bonello et dall’arciprete Bonello di
Barletta.
In
questi boschi esistevano delle paludi, veri e propri laghi ricchi di acqua in
parte piovana e sorgiva, e di numerose sorgenti, motivo per il quale il vescovo
Giovanni Battista Capano (1700-1720) aveva messo da parte una cospicua somma
(20.000 ducati) per costruire un acquedotto che portasse l’acqua dalle lande
murgiane fino all’assetata città di Bitonto. Non dimentichiamo che in quel
periodo nel soccorpo della cattedrale era attiva una cisterna, attualmente visitabile,
che forniva acqua alla popolazione. Purtroppo il buon vescovo Capano non poté
portare a termine la sua impresa, per la sopraggiunta morte repentina (pare
fosse stato trovato morto con il cranio fracassato in episcopio).
Il suo
successore, Domenico Maria Cedronio (1720-1722) resse la Diocesi per soli due
anni, ma ciò non gli impedì di investire la cospicua somma lasciata dal suo
predecessore per far ricoprire di stucchi, secondo i gusti dell’epoca, la
Cattedrale.Nel
1800 le terre che una volta costituivano la Selva di Bitonto, oramai quasi
completamente disboscate, furono acquistate(?) da vari possidenti del
circondario (Rogadeo, Buquicchio, Iatta…).
Per questo motivo fu intentata una
causa ai primi del secolo scorso, causa promossa, fra i tanti, dal Brandi, nella
quale si sosteneva che tali terre erano demaniali e quindi dovevano ritornare
nella disponibilità del Comune di Bitonto.L’esito
della controversia si risolse a favore dei proprietari terrieri, i quali
produssero a loro favore una legge promulgata da Gioacchino Murat nel periodo
in cui questi era Re di Napoli.
Particolare
curioso è che proprio nel mentre si celebrava la causa era stato pubblicato il
Libro Rosso di Bitonto da parte dello storico Francesco Muciaccia. Orbene, tale
pubblicazione, nella quale potevano essere riportati alcuni documenti che
attestassero la proprietà di dette terre da parte del Comune di Bitonto, sparì
dalla circolazione. Alcune copie, una trentina, furono ritrovate negli anni ’70
in un sottoscala della Tipografia Amendolagine, che ne aveva curato la
pubblicazione, dallo storico bitontino Antonio Castellano.
Attualmente
il Comune di Bitonto è proprietario del cosiddetto Bosco di Bitonto, la cui
estensione è di circa 110 ettari.