La sepoltura in chiesa o nel ristretto spazio circostante entrava in crisi profonda in occasione di epidemie (come la peste nera già nel XIV secolo) che rendevano necessarie improvvisi e ampi spazi di sepoltura, veri pozzi in cui ammassare i cadaveri.
Il 17 gennaio 1482 Antonio Capirro di Bitonto si impegnava nei confronti degli ordinati civitatis Bitonti contra pestem ad assistere gli appestati dentro e fuori la città, tam in sepeliendo, quam in deferendo foras, quam in aliis serviciis sibi commictendi et necessariis eisdem infirmis, per tutto il tempo che li stessi ordinati avrebbero ritenuto necessario e per un compenso di 15 tarì in carlini. – ASBA, Atti notarili di Bitonto, Notaio Pascarello de Tauris, sk.1, prot. aa. 1481-1482, c.70v-71r, n. mod.
La lettura del documento consente di ricostruire, seppure in maniera molto frammentaria, l’organizzazione predisposta dalla comunità bitontina per far fronte al contagio pestilenziale, molto probabilmente la medesima epidemia che, sviluppatasi dopo la presa di Otranto (1480) da parte dei Turchi, provocò quindicimila vittime nella sola città di Lecce.
La difesa della salute pubblica risulta essere affidata ad un comitato cittadino composto di sette membri: gli ordinati contra pestem.
La convenzione stipulata con Antonio Capirro evidenzia l’intento degli ordinati di evitare l’ulteriore propagarsi del contagio, mediante l’isolamento degli appestati.
I servizi richiesti al Capirro sono, infatti, solo in parte assimilabili a quelli di polizia mortuaria, in quanto prevedono il trasporto foras, ossia fuori delle mura, dei contagiati, l’assistenza diurna e notturna agli infermi e la loro sepoltura.Antonio Capirro, inoltre, si impegna formalmente a stare foras in loco sibi deputando, a rimanere, cioè, fuori le mura, nel luogo che gli verrà indicato dagli ordinati, presumibilmente in un lazzaretto. Anche i condannati a morte venivano sepolti nelle chiese, a conclusione di un rigido e spettacolare cerimoniale che prevedeva la partecipazione di una moltitudine di persone.
L’esecuzione di una pena capitale, rappresentava, in un’epoca in cui l’esistenza si svolgeva su canoni piuttosto monotoni, un fatto mondano di indubbia importanza.
Il 23 settembre 1809 avvenne l’esecuzione di Baggiacco, al secolo Francesco Giacò, reo di numerosi omicidi commessi nel tenimento di Bitonto.
L’esecuzione doveva costituire un esempio, un avvenimento per quanti, nella città e nelle campagne, costituivano un pericolo per coloro che esercitavano il potere.
Dall’Episcopio dove, nel Carcere dei Preti, era stato rinchiuso e condannato Baggiacco, per Via Mercanti, Piazza Baresana (Cavour), Piazza e Corso del Borgo (Piazza Moro e Corso Vittorio Emanuele), si snodò un lungo corteo preceduto dai Bianchi di Trani e dai Neri di Bitonto, da venti sacerdoti, dal reo e dal plotone di esecuzione.
Una turba di popolo già gremiva e si assiepava sui recinti del grande spiazzo di San Leone, luogo di esecuzioni capitali sin dal 1792.
Questa avvenne alle ore 12 esatte, per consentire il maggior numero di spettatori!
Ieri, come oggi, il popolo ama assistere a scene di sangue e di morte e, se allo spettacolo della fucilazione potettero assistere migliaia di cittadini, non altrettanto avvenne per la decapitazione di Baggiacco.
La salma, infatti, fu portata nella chiesetta di San Vito, che ancora oggi si ammira in Via Cavallotti, ove avvenne la cesura del capo che, conficcato su di un’asta lanceolata, venne mostrato al pubblico e quindi spedito nella vicina Terlizzi, città di origine del bandito, ove per più giorni rimase esposto nella piazza principale.
Il corpo acefalo fu sepolto nella chiesetta di San Vito, dove ancora oggi riposa.
Per l’importanza dell’esecuzione di un bandito famoso fu organizzata una parata in grande stile e vennero scomodati anche 20 sacerdoti con il compito di pregare per la salvezza dell’anima di un peccatore, che aveva commesso un numero elevato di delitti e, quindi, aveva bisogno, per ricevere il perdono divino, delle preghiere di un cospicuo numero di rappresentanti del clero, oltre a ben due confraternite, dei Neri di Trani e dei Bianchi di Bitonto, deputate ad assistere i condannati a morte e cercare di convincerli a pentirsi dei peccati.Il cimitero moderno doveva necessariamente nascere di fronte a problemi di igiene legati alla morte, che si acuivano con l’avvento delle grandi città.
Non va dimenticato che all’epoca le chiese erano luoghi affollati, ospitavano perfino mercati, e tutto si svolgeva tra ossa e seppellimenti precari.
L’insalubrità dei cimiteri stava diventando sempre più evidente, Il paese-guida nel rinnovamento delle consuetudini cimiteriali sarà la Francia.
Già nel 1737 il parlamento di Parigi ordina una inchiesta medica sull’igiene dei cimiteri.
Da allora si moltiplicano le indagini e i trattati sui pericoli delle sepolture entro le mura cittadine, in particolare in Francia e Italia.
Nel mirino sono soprattutto le chiese, che continuano seppellire morti anche durante le messe, in luoghi ristretti ed affollati con il rischio di infezioni e contagi. Nei quartieri vicini ai cimiteri si fanno petizioni per allontanare le tombe, rivendicando la difesa della qualità dell’aria dai vapori sgradevoli. Finalmente, un decreto del Parlamento di Parigi nel 1763 vieta di seppellire nelle chiese e prevede la creazione fuori città di otto grandi cimiteri parrocchiali con fossa comune.
In Spagna nel 1787 Carlos II vieta le sepolture nelle chiese e ordina di costruire cimiteri all’esterno delle città. Infine, il celebre editto napoleonico di Saint Cloud, promulgato in Francia nel 1804 ed esteso alle province italiane, vietava la sepoltura nelle chiese e imponeva la costruzione di cimiteri fuori dai centri abitati, aggiungendo una disposizione egualitaria: le lapidi dovevano essere tutte uguali, e collocate non sopra le tombe ma lungo il muro di cinta.
Dunque l’editto di Saint Cloud derivava in parte da preoccupazioni igieniche e in parte dallo spirito egualitario e giacobino dei tempi. Il fatto che la nascita del cimitero moderno risponde non solo a ragioni igieniche, ma culturali.
I cimiteri versavano in stato di abbandono, e solo con i nuovi luoghi di sepoltura poteva avere piena affermazione il culto borghese per l’individuo.
La Rivoluzione francese, poi, aveva operato una profonda laicizzazione culturale, diminuendo il ruolo della religione di fronte alla morte.
A poco a poco anche le gerarchie religiose si convinsero della necessità di allontanare i cimiteri dalle chiese.
Ma a rivendicare la vicinanza tra cimitero e chiesa tornerà ad essere un punto di forza del clero durante la restaurazione. I preti puntavano sulla tradizione e sulla economicità della sepoltura vicino alle chiese, cercando il consenso soprattutto delle comunità rurali, che non si erano adattate alle nuove disposizioni. Il cimitero, così, resta inseparabile dalla chiesa in molte zone europee: nei paesi baschi, nell’Europa centrale, in Svezia, Norvegia, Danimarca, Olanda e nella Germania settentrionale i recinti dei camposanti si estendono ancora per tutto l’Ottocento.
Il compromesso tra chiesa e stato, a proposito di morte e cimiteri, si realizzerà distribuendo i compiti. Il cerimoniale della morte resta affidato alla Chiesa, mentre le incombenze della sepoltura furono regolamentate da leggi nazionali e affidate ai municipi.
I morti della società borghese, dunque, verranno trattati soprattutto da due categorie: i preti e i becchini (undertakers).