La norma sull’affidamento dei minori adotta, come panacea di tutti i mali, una modalità di gestione congiunta della genitorialita’, proprio nel momento in cui la coppia, sia essa unita in matrimonio o di fatto, ha cessato di essere tale ed ognuno ha preso la sua strada.
Come potrebbero quindi due persone, oramai così distanti, ritrovarsi d’accordo su ogni aspetto della vita dei loro figli?
Il Legislatore non ha dubbi: l’affidamento condiviso è la regola a cui non può derogarsi per mera conflittualità tra i genitori, che sono chiamati a mettere da parte i loro problemi da adulti, imparando a collaborare nell’interesse esclusivo dei figli. In una parola, deve cambiare la prospettiva, cioè madre e padre devono accovacciarsi entrambi “sul tappetino”, per entrare in contatto e comprendere le esigenze del bambino.
Succede spesso, invece, che i minori vengano triangolati e, soprattutto, strumentalizzati, per conseguire vantaggi giudiziali ed ottenere benefici economici, quali: l’assegnazione della casa familiare e il contributo al mantenimento da parte dell’altro genitore.
Infatti, al genitore collocatario viene attribuito l’uso della casa, in quanto il minore ha diritto di conservare l’habitat domestico nel quale è vissuto sino alla disgregazione del nucleo familiare; nonché ad un assegno da quantificarsi in relazione alle esigenze del figlio, ai compiti di accudimento e cura e alle rispettive condizioni economiche dei genitori.
La regola dettata dal Legislatore finisce per essere un ossimoro, pertanto dovranno essere proprio i genitori a cavarsela con il buon senso, senza trasformare i rapporti tra di loro in un campo di gioco con vincitori e vinti. Non ci sono punti da assegnare, non ci sono medaglie da vincere. C’è solo da scommettere sul futuro dei figli, dando ciascuno il meglio di sé.
(Rubrica a cura degli Avvocati Maria Federica Verna e Maria Anna Pia Castellaneta – foto www.freepik.com )