Da Alberto Losacco, parlamentare del Partito democratico, riceviamo e volentieri pubblichiamo
#annullaretutto è l’hashtag con cui gli attivisti del Movimento 5 stelle stanno chiedendo la sospensione delle operazioni di voto per la scelta dei candidati alle politiche.
Un vero e proprio flop, con persone che, a loro insaputa, si sono ritrovate candidate. E altre escluse, senza poter sapere se questo dipenda da un problema tecnico o da una volontà politica dei garanti.
Già nelle scorse settimane sui sistemi operativi dei grillini si sono addensate diverse nubi. L’obsolescenza tecnica dello strumento, facilmente bucabile dagli hacker; il fatto che la partecipazione alle votazioni non garantisce il pieno anonimato agli occhi dei gestori del sistema; il rapporto, non chiarito, con alcune compagnie telefoniche con la cessione dei dati degli utenti.
La democrazia, il voto, sono dei processi estremamente delicati. Per questo non si possono delegare in toto a una piattaforma tecnologica che rischia di collassare o di non garantire la massima trasparenza.
Allo stesso tempo è evidente che, da parte dei vertici del Movimento, sono state compiute alcune scelte politiche senza che queste siano state oggetto di confronto o di dibattito interno con la propria base.
Non si spiegherebbe, altrimenti, l’esclusione dalla rosa dei potenziali candidati di persone che hanno già ricoperto il ruolo di parlamentare. Uno di questi l’ho conosciuto personalmente perché, per cinque anni, siamo stati assieme nella Commissione Bilancio della Camera, il bitontino Francesco Cariello.
Cariello non ha di certo bisogno della mia difesa. Eppure mi ha molto colpito la sua esclusione perché, in questi anni, pur lavorando su fronti opposti e avendo avuto diverse occasioni di scontro e di polemica, l’ho sempre ritenuta una persona intelligente e di valore, di quelle che – immagini – una forza politica mai si priverebbe.
Non me ne vorrà allora Cariello se lo prendo come esempio per un discorso più generale, ossia quello delle modalità con cui il M5S sta operando nella selezione della propria classe dirigente. La democrazia interna dei partiti non è un tema che ha mai appassionato troppo gli italiani. Eppure è una questione fondamentale, è la cartina di tornasole che permette, anzitutto, di garantire la qualità del lavoro all’interno delle istituzioni, ma anche la capacità di ascoltare il territorio e di provare a risolverne i problemi. Oggi assistiamo alla rivolta interna al Movimento 5 stelle, a un cortocircuito frutto di una democrazia interna ridotta a un click sulla Rete, senza spazi di discussione e di confronto ma con decisioni che, in realtà, sono già state prese tutte dall’alto. Dispiace per quei tantissimi militanti che oggi si sentono traditi. E preoccupa per l’Italia, per il futuro Parlamento, che ha bisogno, al di là delle casacche politiche, di persone che siano all’altezza del ruolo e delle sfide che attendono il Paese.