Negli appuntamenti precedenti ho raccontato la città durante i travagliati anni tra la guerra e gli anni immediatamente successivi. Ora, prima di passare in rassegna partiti politici, i protagonisti della storia della politica nazionale e locale, è utile fare un breve quadro generale, ricordando chi ha governato la città durante la cosiddetta “Prima Repubblica” e, dunque, come si sono alternate al governo cittadino le forze politiche che, per quasi mezzo secolo, hanno occupato Palazzo Gentile.
Come si è già scritto domenica scorsa, con la caduta del fascismo nel Sud Italia, nel ’43, le amministrazioni locali videro i vecchi podestà fascisti sostituiti con commissari prefettizi nominati del Comitato di Liberazione, che riuniva le forze antifasciste. Una sostituzione spesso traumatica, in quanto era accompagnata da violenze e vendette. Non a Bitonto, fortunatamente.
L’ultimo podestà, Giovanni Battista Dragone, con l’armistizio del settembre 1943, fu costretto a consegnare i poteri al Comitato di Liberazione Nazionale e al commissario prefettizio Giuseppe Zaza, che dovette far ripartire la macchina comunale dall’ala sud-est di Palazzo Gentile, occupato dalle forze alleate.
Vicecommissario fu il cattolico Nicola Calamita, fortemente voluto dal vescovo Andrea Taccone e dal futuro senatore Nicola Angelini. Lo stesso Calamita era nipote di Francesco Paolo Calamita, antifascista e prima voce del cattolicesimo nella libera Radio Bari, dal ’43. Fu Nicola che, nel ’44, subentrò come commissario a Zaza e che, nel ’46, divenne il primo sindaco eletto democraticamente, dopo la fine dell’esperienza fascista.
Ma andiamo con ordine, perché, prima di arrivare alle elezioni amministrative del ’46, un altro commissario governò la città dal ’44 al ’46. Si trattò del comunista Arcangelo Pastoressa, che durante il Ventennio si era distinto per il suo antifascismo, tanto da essere stato sorvegliato speciale. L’esperienza amministrativa non gli era nuova. Fu sindaco già negli anni della Prima Guerra Mondiale.
In seguito alle elezioni del ’46, come già anticipato, fu nominato sindaco il democristiano Calamita, dopo che il suo partito, la Dc, ottenne 7813 voti, superando comunisti e socialisti. Governando dal ’46 al ’52, fu lui ad affrontare i difficili equilibri del dopoguerra, in cui fame, povertà e disoccupazione tormentavano la popolazione. Fu lui il sindaco durante i tumulti dei contadini nel ‘47. Oltre al fatto che si trovò ad affrontare anche i dissidi interni alla Dc e gli attacchi di monarchici e qualunquisti (inteso come esponenti del Movimento dell’Uomo Qualunque), che già all’epoca si distinsero per il loro antipartitismo. Calamita fu anche colui che iniziò il rimboschimento nell’area premurgiana, creando il Bosco di Bitonto, e la costruzione della poligonale, che si rivelò fondamentale quando, andati via gli anglo-americani, si dovette cercare di far ripartire l’economia.
Nel ’52, finita l’esperienza di Calamita, tornò a Palazzo Gentile Pastoressa, dopo la vittoria dei partiti di sinistra e la sconfitta dei cattolici alle elezioni di quell’anno. Tra i provvedimenti presi ci fu la tassa di famiglia, con criteri patrimoniale e non di reddito, pensata per colpire, in modo progressivo, i più ricchi. Ma la sua terza esperienza da sindaco durò poco, finendo con la sfiducia del ’53.
Gli successe il socialista Angelo Custode Masciale, il cui mandato diede inizio al lungo dominio del Psi a Bitonto. Se si non ci fossero state la parentesi dal ’61 al ’71 e la brevissima esperienza di Michele Labianca, dall’85 all’87, in cui è stata la Democrazia Cristiana a governare la città, quello del Psi sarebbe stato un dominio ininterrotto per quasi mezzo secolo.
Dalla spiccata ars oratoria, Masciale fu il sindaco che diede avvio al Piano Regolatore del ’54 e che si trovò ad affrontare le conseguenze della grande nevicata del ’56, che piegò la debole economia rurale e lasciò isolate per giorni e giorni intere famiglie che, con la riforma agraria di quegli anni, avevano ricevuto appezzamenti di terra nell’aro murgiano.
Rinominato sindaco dopo le elezioni del ’56 con una giunta di soli socialisti, interrompe il secondo mandato due anni dopo, per presentarsi come candidato al Senato. Termina il mandato (all’epoca la sostituzione del sindaco non coincideva con la sostituzione del consiglio comunale) il suo compagno di partito Vito De Santis, finchè l’autoscioglimento del consiglio comunale determina la fine del primo decennio socialista. A dirigere la Sala degli Specchi, in quegli anni sede del consiglio comunale, subentra nuovamente un commissario prefettizio, Gustavo Prezzolini, che accompagna la città per 10 mesi, fino alle amministrative del ’62, in cui vince la Democrazia Cristiana, che nomina sindaco Domenico Saracino, con l’appoggio però di Psi e Psdi.
Erano gli anni ’60, anni in cui l’Italia cambiò. Il boom economico e l’avvento dell’economia industriale che prendeva il posto di quella agricola portò un aumento demografico nelle città. In molti vi si trasferirono dalla campagna. Determinando una corsa all’edilizia, per accogliere quella popolazione in aumento. Ovviamente anche Bitonto fu interessata da queste trasformazioni. Ma questo lo vedremo più nel dettaglio prossimamente.
Alle elezioni del ’66 gli equilibri di forza furono grosso modo confermati e Saracino fu riconfermato sindaco essendo il maggior suffragato. Ma rifiutò di replicare l’esperienza, dando spazio a Francesco Elia. Fu sindaco per un solo anno, perché, nel ’67, discordie tra Democrazia Cristiana e sinistra lo portarono a lasciare la carica, che fu presa da Pasquale Marrone (nonno dell’attuale sindaco Michele Abbaticchio) fino al ’68. Anche il suo mandato fu vittima delle divisioni interne alla Dc. A completare il quinquennio fu Francesco Gesualdo.
Nel ’71 i socialisti tornano ad occupare la carica di sindaco con Domenico Larovere, che resse le redini di Palazzo Gentile fino al ’76 e, dopo le elezioni di quell’anno, ebbe un secondo mandato. Ma durante il suo esercizio, nel ’77, morì. Gli subentrò Saverio Granieri per due anni, fino alle dimissioni presentate nel settembre ’79, e Emanuele Masciale fino all’81.
Alle elezioni dell’81, l’ennesima vittoria socialista porta a Palazzo Gentile Girolamo Larovere, figlio dell’ex sindaco Domenico. Fu, tra le altre cose, il sindaco che si trovò ad accogliere Papa Giovanni Paolo II durante la sua storica visita del febbraio ’84. A concludere il mandato fu Antonio Pazienza, sindaco fino alle amministrative dell’85, che riportarono i democristiani a ricoprire la carica con Michele Labianca. La seconda parentesi Dc, tuttavia, durò solo due anni. Nell’87, contrasti con le altre forze politiche, lo portarono alle dimissioni. La carica tornò quindi ai socialisti, con la nomina di Michele Coletti, riconfermato sindaco a seguito delle elezioni del ’90. La sua fu un’amministrazione travagliata dai contrasti tra forze politiche ormai in crisi. Erano i primi anni ’90. Gli anni in cui i partiti si sgretolavano. Gli anni della “grande slavina” che travolse il sistema politico e i suoi protagonisti.
Dimesso nel giugno ’93, fu sostituito dal socialista Francesco Dimundo, l’ultimo sindaco della Prima Repubblica. Si dimise, insieme alla sua giunta, nell’aprile del ’94. L’incapacità delle forze politiche di allora di riformare una nuova giunta nei tempi stabiliti dalla legge elettorale allora in vigore, dovuta al caos di quegli anni, con i partiti ormai morti o sul punto di spirare, portò ad un nuovo commissario prefettizio, Mario Tafaro, che traghettò la città, in sei mesi, verso le nuove elezioni.
Ma nel frattempo tutto era cambiato. La legge elettorale fu sostituita da quello oggi in vigore, che prevede l’elezione diretta del sindaco, non più nominato successivamente dal consiglio comunale. I protagonisti della scena politica erano cambiati. Nel ’91 si era dissolto il Partito Comunista, seguito nel ’94, dalla Democrazia Cristiana e dal Partito Socialista.
Una mutazione che è ancora oggi in corso.