«Con Bocca parlammo di questo e della possibilità di un golpe, che considerava più probabile con la presenza di lotte sociali. Era un monito inaccettabile per il movimento: smettetela o finiremo tutti nello stesso stadio. Noi pensavamo invece che un forte movimento antagonista avrebbe contribuito a dissuadere i golpisti (e ci piace pensare che sia andata veramente così)».
Scrisse così, rispondendo al giornalista Andrea Scanzi, Enzo Modugno, in un passaggio che abbiamo già citato parlando del Movimento del ’77. Un passaggio che spiega come, tra le ragioni dell’eversione di sinistra, ci fossero dei sospetti verso uno stato che, al suo interno, celava apparati che, in più occasioni tentarono di prenderne il controllo per instaurare un governo più autoritario. Apparati che erano collegati con l’estrema destra, con il terrorismo nero, con apparati internazionali e servizi segreti statunitensi che non vedevano di buon occhio la crescita delle sinistre in quegli anni.
«Fu un momento di forti contrapposizioni e c’erano motivi per avere legittimi sospetti verso certi apparati dello stato italiano, a partire dal tentato golpe del ’64, dalle stragi che ci furono a partire dagli anni ‘60» ci ricordò il professor Sabino Lafasciano, in occasione degli appuntamenti sulle proteste giovanili del ’68 e sulla contestazione a sinistra.
Quello a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, infatti, non fu certo un periodo facile. Al contrario, furono anni di fortissima tensione nazionale ed internazionale. Una tensione creata anche da apparati dello stato desiderosi di destabilizzare lo stesso stato democratico e diffondere paura nella popolazione, attraverso tentativi di golpe e attentati terroristici, così da imprimere una svolta autoritaria, seguendo una strategia che fu detta, appunto, “strategia della tensione”.
L’espressione fu creata dal settimanale britannico “The Observer”, nel dicembre 1969, in occasione della strage di piazza Fontana. Ma alcuni studiosi considerano, come inizio della strategia della tensione, il tentato golpe del 1964 (quello a cui si riferisce Lafasciano) noto con il nome di “Piano Solo”, messo in atto dal generale dell’Arma dei Carabinieri Giovanni De Lorenzo. Altri, addirittura, ancora indicano come data di nascita della strategia la strage di Portella della Ginestra, avvenuta nel ’47, quando i banditi della banda di Salvatore Giuliano, nel paesino siciliano in provincia di Palermo, aprirono il fuoco contro una folla di contadini riuniti per celebrare il 1° maggio, la Festa del Lavoro.
Ma l’atto più brutale, il battesimo del fuoco di quel periodo buio della storia italiana, fu, senza dubbio, l’attentato dinamitardo di piazza Fontana a Milano del 12 dicembre ‘69, quando, all’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura, a due passi dal Duomo, una bomba esplose uccidendo 17 persone e ferendone 88. Fu il primo di una lunga serie di attentati che insanguinarono la penisola. L’attentato di piazza Fontana, inoltre, fu una reazione alle grandi ondate di lotte sociali di fine anni ‘60 e alla crescita di consensi verso il Partito Comunista Italiano.
Una reazione che già nel ’64 si era manifestata e che tornò a farlo non solo attraverso la strategia stragista, ma anche attraverso un’altra strategia, quella golpista.
La prima, l’arma delle stragi, fu usata, purtroppo, nuovamente l’anno successivo, con la bomba che, a Gioia Tauro, esplose nel treno Siracusa – Torino Porta Nuova, uccidendo 6 persone. Fu usata nel ‘73 con la strage della questura di Milano, quando il sedicente anarchico Gianfranco Bertoli, militante del Pci, ma in realtà informatore dei carabinieri e dei servizi segreti, lanciò una bomba a mano contro l’edificio, proprio mentre si svolgeva una cerimonia in onore del commissario Luigi Calabresi, assassinato un anno prima. Morirono 4 persone.
E, ancora, nel ‘74, quando un ordigno, piazzato dai fascisti e nascosto in un bidone dei rifiuti in Piazza Della Loggia a Brescia, uccise 8 persone. Nello stesso anno, un altro treno fu luogo di un attentato: l’Italicus, colpito da una bomba che uccise 12 persone. Quello di Bologna, con i suoi 85 morti, fu l’atto più sanguinoso di questo disegno criminale. Ma torneremo a parlare nel prossimo appuntamento del terrorismo di estrema destra, soffermandoci, oggi, sull’altro strumento volto a sovvertire lo stato democratico, quello golpista, che si servì anche di apparati dello stato e di strutture segrete come, ad esempio la Rosa dei Venti, organizzazione segreta neofascista, collegata con ambienti militari che, nel ’73, prese parte ad un tentativo di colpo di stato. O come i Nuclei per la Difesa dello Stato, organizzazione paramilitare clandestina, di stampo anticomunista, di cui si conosce l’esistenza, non esistendo documenti che la comprovino, solo attraverso testimonianze. Organizzazione, quest’ultima, che si affiancava alla ben più famosa Gladio, realtà paramilitare figlia della rete internazionale Stay Behind, con cui la Central Intelligence Agency mise in piedi, nell’Europa Occidentale, diverse strutture paramilitari per contrastare il pericolo di invasioni da parte dei paesi del Patto di Varsavia e per combattere l’avanzata dei partiti comunisti, attraverso attività segrete volte ad indebolirli e a minarne la reputazione, anche attraverso azioni di spionaggio o tramite operazioni di infiltrazione in movimenti di massa e organizzazioni extraparlamentari, anche di sinistra, per innalzare il livello dello scontro. O, attraverso l’organizzazione di colpi di stato, come il già citato Piano Solo o il tentativo di golpe messo in atto, tra il 7 e l’8 dicembre ’70, dal generale Junio Valerio Borghese, ex ufficiale della X Mas ed esponente prima del Movimento Sociale Italiano e poi del Fronte Nazionale, di cui fu fondatore e leader. Il golpe fu bloccato dallo stesso ideatore, mentre si stava già effettuando, per cause mai rese note, tanto che c’è chi ipotizza, basandosi sulla testimonianza del generale Amos Spiazzi, che fu tutta una manovra ideata dal governo democristiano di Emilio Colombo per avere il pretesto per emanare leggi speciali.
Tra le strutture eversive segrete, senza dubbio, la più famosa e influente fu la Loggia P2 (acronimo di “Propaganda 2”) che, dal 1970, fu presieduta da Licio Gelli, assumendo forme deviate rispetto agli statuti del Grande Oriente d’Italia, organizzazione massonica a cui apparteneva, ed iniziando a mettere in atto attività eversive volte a sovvertire l’ordinamento giuridico italiano. La P2 fu accusata di cospirare per ottenere il controllo politico dello stato italiano, e di aver preso parte all’organizzazione delle stragi dell’Italicus e di Bologna. Oltre a tante altre accuse, vere o presunte, che, adesso, non stiamo ad elencare.
Gli obiettivi della loggia furono riassunti nel cosiddetto “Piano di rinascita democratica”, che era, sostanzialmente, un articolato progetto di riforma dell’ordinamento statale che prevedeva la nascita di due partiti, uno a sinistra (con l’esclusione dei comunisti) e uno a destra; un progetto di controllo o di lobbismo sui mass media, anche attraverso la privatizzazione della Rai e l’istituzione di agenzie che, coordinando la stampa locale e le reti televisive, in via di liberalizzazione, consentisse di controllare meglio l’opinione pubblica; l’indebolimento dei sindacati, il superamento del bicameralismo perfetto mediante una divisione dei compiti dei due rami del Parlamento; una riforma della magistratura che introducesse una separazione delle carriere di pubblico ministero e magistrato giudicante e la responsabilità del Consiglio Superiore della Magistratura nei confronti del Parlamento. Caratterizzato da un forte antiparlamentarismo, il Piano prevedeva anche una drastica riduzione del numero dei parlamentari, oltre all’eliminazione delle province e all’abolizione della figura del Presidente della Repubblica.
Il piano fu scoperto nell’81, insieme alla lista degli appartenenti alla loggia P2. Una lista che conteneva quasi mille nomi, tra cui quelli di personaggi noti del mondo della politica, del giornalismo, dell’imprenditoria, della finanza, dell’esercito, delle forze dell’ordine e persino del mondo dello spettacolo (nell’elenco anche un giovane Silvio Berlusconi). Non tutti, ovviamente, personaggi operativi in quel piano sovversivo che era nelle intenzioni di Gelli. Tra quei nomi spicca anche quello di un esponente di un’antica famiglia di lontane origini bitontine: si tratta di Marco Messeni Petruzzelli, discendente della stessa famiglia che, a Bari, realizzò il teatro Petruzzelli. È indicato con la dicitura “in sonno”, che indica coloro che, a seguito di divergenze con la linea adottata dalla loggia massonica, si dimisero.
Nella relazione della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulla loggia massonica P2, è presente la sua domanda di iscrizione, datata 28 luglio 1975, che riporta le sue generalità, tutte le informazioni utili sul suo conto e una piccola nota che, rispondendo ad alcune ulteriori richieste, reca: «Storia complessa della mia ascendenza paterna».
«Non iscritto ad alcun partito. Orientamento di centro» è indicato alla voce “orientamento politico”, mentre, alla richiesta di nomi di altri membri della P2 che potessero riferire sul suo conto, è indicato un tale “Dott. Pasquale B.A. Brandi” di Bari.