Parlando delle elezioni primarie, nell’appuntamento precedente, abbiamo evidenziato, attraverso le parole di diversi politologi, come il classico modello di democrazia, quello nato e cresciuto grazie al ruolo di tradizionali partiti di massa, sia ormai andato in crisi e che, per usare le parole di Colin Crouch, ci muoviamo verso la “postdemocrazia”. Ci muoviamo verso un sistema “solamente su invito”, come disse invece Steven Schier, descrivendo un sistema che, con la crisi dei partiti tradizionali, vede diminuire il ruolo dei militanti e sostituisce i classici strumenti di mobilitazione con l’activation, che indica i nuovi metodi utilizzati dai partiti, dai gruppi di pressione per coinvolgere un numero limitato di potenziali elettori interessati ad un messaggio specifico, ma destinati a sparire subito dopo, disertando le sezioni dei partiti politici. Metodi che prevedono l’utilizzo di telefono, posta diretta, internet e, in generale, nuovi mezzi di comunicazione e l’assunzione di sondaggisti ed esperti di marketing e di fund raising.
Scritto nel 2003, il saggio di Crouch è particolarmente utile per comprendere lo stato di salute della democrazia odierna negli stati occidentali, tra cui l’Italia a cui il politologo statunitense dedica particolare attenzione. Crouch descrive un modello in cui anche se le elezioni continuano a svolgersi regolarmente e a condizionare i governi, il dibattito elettorale è saldamente controllato e condotto da gruppi rivali di esperti nelle tecniche di persuasione. In tale contesto la massa dei cittadini svolge un ruolo passivo e apatico, limitandosi a reagire ai segnali che riceve. La loro partecipazione è manipolata e rarefatta. La politica viene decisa nel privato dall’interazione tra governi ed élite che rappresentano gli interessi economici. Le sinistre e il centro si trasformano e abbandonano molte conquiste fatte nel XX secolo. Lo Stato perde la propria autostima e si smarriscono il significato e l’autorità dell’ente pubblico. Contemporaneamente, aumenta il potere politico dell’azienda, grazie alle opportunità concesse dalla globalizzazione, con le sue multinazionali che, con il loro potere economico, sono in grado di condizionare le scelte degli stati, ricattandoli e mettendoli in competizione l’un l’altro per assicurarsi quegli investimenti preziosi. Stessa cosa avviene per le singole città, messe sempre più in competizione nella speranza che gli investimenti di grandi gruppi economici, come è successo negli ultimi anni anche da noi, quando si è presentata la possibilità che importanti industrie aprissero stabilimenti sul territorio cittadino.
Sottolinea Crouch: «Più lo Stato rinuncia ad intervenire sulle vite della gente comune, rendendole indifferenti verso la politica, più facilmente le multinazionali possono mungere, più o meno indisturbate, la collettività […] Nel tentativo di diventare il più possibile simili alle aziende private, gli enti pubblici devono anche spogliarsi di un aspetto intrinseco del loro ruolo: la loro autorità».
Nel sistema descritto dall’autore, nel suo saggio edito da Laterza, «il welfare state diventa poco a poco residuale, destinato al povero bisognoso piuttosto che parte dei diritti universali della cittadinanza; i sindacati vengono relegati ai margini della società; torna in auge il ruolo dello Stato come poliziotto e carceriere; cresce il divario tra ricchi e poveri; la tassazione serve meno alla redistribuzione del reddito; i politici rispondono in prima istanza alle esigenze di un pugno di imprenditori ai quali si consente di tradurre i propri interessi particolari in linee di condotta politica generali; i poveri smettono progressivamente di interessarsi al processo in qualsiasi forma e non vanno nemmeno a votare, tornando volontariamente alla posizione che erano obbligati ad occupare nella fase predemocratica».
Un sistema, quello descritto, che ha visto un crescente indebolimento soprattutto delle forze di sinistra che, più di tutte le altre, ha utilizzato lo strumento del partito per farsi largo nella politica degli stati occidentali e per dare voce a quelle masse che, prima del XIX secolo, non avevano mai avuto voce.
In particolare, il venir meno del ruolo centrale dell’economia industriale sancì l’indebolimento della classe operaia, che grazie alle sinistre, alle politiche keynesiane e al conseguente compromesso tra capitale e lavoro, aveva avuto un ruolo più centrale nelle decisioni politiche, tanto da ottenere conquiste epocali che, tuttavia, negli ultimi anni, sono andate sempre più perdendosi. Soprattutto per l’affermarsi di una nuova egemonia neoliberista da sempre ostile al sistema partitico. Non è un caso che questa si affermò con più forza dopo la caduta delle ideologie e che, venuto meno il Pci, al vecchio anticomunismo si sostituì la pregiudiziale antipartitica, dato che proprio il movimento operaio era stato il principale artefice dell’ascesa del modello del partito di massa.
Quella che si è verificata è stata una rivoluzione neoliberista che non solo ha preso piede in tutto l’occidente, ma ha addirittura permeato quelle forze politiche eredi dei comunisti e tradizionalmente rappresentanti dei ceti deboli e delle classi lavoratrici. I partiti di sinistra, infatti, mentre la Prima Repubblica viveva il suo tragico tramonto, si sono uniti al coro dell’antipartitismo e dell’elezione diretta del capo, smantellando le proprie strutture e adottando una linea di pensiero più liberista. Perso gran parte del proprio elettorato storico, soprattutto in seguito al declino dell’industria manifatturiera, che ha portato al declino della classe operaia, e al sorgere dell’economia dei servizi, hanno cercato di arginare l’emorragia di consensi trasformandosi in partiti più liquidi e abbandonando il proprio substrato culturale.
Nella sua analisi, Crouch sottolinea il fallimentare tentativo di sconfiggere la destra liberista che, con l’avvento di Berlusconi, costruiva le campagne elettorali attorno al personaggio dell’imprenditore milanese a dava inizio ad una politica fortemente personalizzata.
Scrive Crouch: «La promozione delle presunte qualità carismatiche del leader del partito, le foto, gli spot della sua persona, in pose adeguate e convincenti prendono sempre più il posto del dibattito sulle questioni e gli interessi in conflitto. La politica italiana è stata a lungo immune da questo fenomeno, fino al 2001, quando Silvio Berlusconi ha organizzato l’intera campagna elettorale del centrodestra alle elezioni politiche attorno al suo personaggio, disseminando ovunque sue gigantografie opportunatamente ringiovanite, in forte contrasto con lo stile assai più partitocentrico che l’Italia aveva adottato dopo la caduta di Mussolini».
Anche la sinistra, dunque, per contrastare l’avversario, avviò la ricerca di leader fotogenici e carismatici, con il fine di imitare l’avversario sfruttando i suoi strumenti. Sull’onda di un populismo di senso opposto ma spesso non dissimile, si iniziarono a smantellare le strutture partitiche e, nel tentativo di acquisire sempre più consensi, iniziò una convergenza verso il centro. Abbandonando così molte delle politiche perseguite in passato, a danno del dibattito sulle varie questioni e sugli interessi in conflitto. E dedicando più attenzione ai soli diritti civili, in grado di attirare maggiori simpatie in un elettorato non ideologizzato e sempre più attento ai singoli temi, piuttosto che a tematiche dal campo più largo.
Un processo che, con le dovute differenze legate ai diversi livelli di governo, si è avuto anche nelle città. Dall’avvento dell’elezione diretta del sindaco, le campagne elettorali sono state sempre più legate alle vere o presunte capacità del sindaco, che viene spesso scelto preferibilmente all’esterno dei partiti politici, sacrificando, come accade con le primarie, chi in quei partiti politici ha dedicato impegno ed energie.
Ma, per concludere, torniamo a livelli più alti dell’ambito cittadino, per sottolineare come la contropartita sia lo spostamento di una parte dei consensi a vantaggio di nuove destre risorte dopo anni in cui sono state relegate ad un ruolo minore, grazie alle loro risposte, forti e spesso populiste, a malumori emergenti. Un’infiltrazione che, per la sinistra, rende ancor più ardua la sfida per la riconquista di un’identità ormai sempre più persa e per la rilegittimazione di sé stessa, del partito politico.