La seconda metà degli anni 2000 vide una nuova evoluzione del web e una nuova rivoluzione del modo di comunicare tra le persone. Si affermarono i social network.
“Reti sociali”, se volessimo tradurre in italiano quell’espressione ormai divenuta di uso comune quasi ovunque nel mondo. Servizi internet per la gestione dei rapporti tra persone in contatto tra loro e per la condivisione di contenuti testuali e multimediali. Reti fruibili attraverso browser o applicazioni mobili.
In realtà non furono inventati in quel periodo. Esistevano già. Il primo venne creato già nel ’97 ed era il sito statunitense SixDegrees, che per primo consentiva agli utenti di creare profili e navigare tra elenchi di amici. Ma questo portale ebbe vita breve. Fu chiuso nel 2000 a causa dell’insostenibilità economica della piattaforma. A quell’esperienza, tuttavia, seguirono diversi altri social più o meno famosi. Quello maggiormente degno di nota, che riuscì a raggiungere milioni di utenti fu MySpace. Nacque nel 2003, nel pieno di quella che fu una vera e propria età dell’oro dei social network. E, grazie ad un innovativo sistema economica, fu uno spartiacque, in quanto anche i social successivi lo adottarono.
In realtà, prima di MySpace, era già nato Linkedin, sempre nel 2003. Ma parliamo di un social dedicato solamente allo sviluppo di contatti professionali e alla ricerca di lavoro. Altri social network dedicati alla condivisione di contenuti più generalisti sorsero a partire dagli anni immediatamente successivi.
La rivoluzione dei social network iniziò nel 2004, quando alcuni studenti dell’Università di Harvard crearono una piattaforma per permettere la socializzazione tra i ragazzi che frequentavano il rinomato istituto. Da quel tentativo, due anni dopo nacque quello che, ancora oggi, è tra i più popolari social network in tutto il mondo: Facebook. Sempre nel 2006 nacque anche Twitter, poi Instagram (2010), il fallimentare Google+ (2011) e il cinese TikTok (2016), giusto per citare i più famosi, quelli più generalisti e quelli più utili alla condivisione di contenuti politici, per restare nel tema della nostra rubrica (in realtà ci sono tantissimi altri social più o meno popolari).
L’avvento dei social è stata una vera e propria rivoluzione del modo di comunicare tra le persone. Nel bene e nel male.
Ha rivoluzionato le comunicazioni del nostro quotidiano, permettendoci di restare frequentemente in contatto con amici, parenti, anche lontani, e di poter scambiare opinioni, pareri e contenuti di vario tipo.
Ma ha rivoluzionato anche campi ben specifici. Il giornalismo, il mondo del lavoro, la politica. Persino il modo di comunicare della criminalità, che sempre più spesso usa i social network per scambiare messaggi e talvolta persino minacce.
A livello internazionale, tra i primi a comprendere le potenzialità dei social network nella comunicazione politica, fu Barrack Obama, quando nel 2008 divenne presidente degli Stati Uniti d’America. Ma l’avvento dei social ha portato la sua rivoluzione sin da subito nella comunicazione politica di ogni dove. Anche in Italia e nei livelli più periferici. Anche nei comuni. E, dunque, anche a Bitonto.
Quando a partire dalla seconda metà degli anni 2000 i social hanno avuto il loro decollo inarrestabile, tutti i politici, i partiti, i commentatori, i giornalisti hanno fatto a gara per conquistare quel nuovo mondo. E per comunicare contenuti senza dover passare per i gruppi politici di appartenenza, le testate giornalistiche per le quali si lavora e per raggiungere un pubblico sempre più ampio, che esula dal semplice lettore o dal militante.
Effetti che abbiamo avuto anche a livello locale, sebbene con un po’ di ritardo. Sin da subito molti esponenti politici bitontini sbarcarono sul web. Ma la vera e propria rivoluzione si ebbe quando i social network divennero istituzionali. E ciò successe sin da subito durante l’era Valla, ma soprattutto a partire dal 2012 con l’era Abbaticchio.
Ovviamente anche prima del 2012 c’erano stati esponenti e amministratori che avevano utilizzato i social network (basti pensare a Damascelli, presente su Facebook e Twitter sin dal 2009, quando era vicesindaco). Ma fu con l’era Abbaticchio che i social conquistarono un ruolo sempre più da protagonista.
Sempre più spesso furono usati per comunicare notizie, esprimere pareri e annunciare eventi, da parte del sindaco, degli assessori, consiglieri di maggioranza e opposizione. Anche a danno di uffici stampa (una volta unico canale di comunicazione) talvolta depotenziati, in quanto rappresentano comunque un filtro.
Nuove comunicazioni che spesso hanno anticipato anche la stampa stessa. Primo esempio nazionale fu la comunicazione della morte dell’ex presidente della repubblica Oscar Luigi Scalfaro, che fu annunciata su Twitter e solo dopo 45 minuti fu ripresa dalle agenzie di stampa.
Anzi, non solo i social hanno anticipato la stampa, ma sono anche diventati notizie, fonti primarie per i giornalisti. Fonti cioè che, proprio in quanto primarie, sono notiziabili in sé e non hanno bisogno di essere verificate da articolisti dediti alla mera cronaca (diverso è il caso di approfondimenti, che però, richiedendo più tempo non sono sempre possibili e, soprattutto, sono meno immediati). Se una dichiarazione dovesse risultare fallace, la colpa non sarebbe certamente del giornalista che la riporta ma dell’autore che la pubblica.
Cosa che spesso non hanno compreso in tanti che, ignari di quella che, ormai, è una realtà a livello mondiale e limitati a vedere quel che accade nei soli confini bitontini, hanno spesso rimproverato alla stampa locale di fare notizia sulle esternazioni social. Cosa che invece è assolutamente normale e sacrosanta.
Oggi quasi tutti i politici, i giornalisti, i partiti, le testate sono sui social e pubblicano contenuti. Alla condivisione dei contenuti sono dedicate figure professionali che affiancano i redattori di articoli e comunicati stampa.
Tra gli effetti che, sin da subito, si notarono con l’avvento dei social, ci fu la sparizione dei commenti dei lettori sotto gli articoli all’interno dei siti web. Frequenti, erano, prima che Facebook avesse lo sviluppo che noi tutti conosciamo, i pareri dei lettori sotto gli articoli delle testate giornalistiche locali e nazionali. Commenti che, successivamente, si sono sempre più spostati all’esterno dei siti, sui profili social delle testate stesse, sotto ogni articolo postato. Una scelta di comodità dell’utente lettore, ma spessissimo anche una precisa volontà delle varie testate per evitare le rogne e le seccature derivanti da commenti offensivi, inopportuni, al limite della querela a cui andava incontro anche la testata che non provvedeva a controllarli. Controllo che non tutte le redazioni potevano permettersi, dal momento che, specialmente nelle testate più locali, chi scrive non vive certo di giornalismo, ha un tempo limitato da dedicarci e non può perdere parte della giornata a controllare i commenti.
Conseguenza negativa, questa, di una delle caratteristiche che più volte è stata celebrata da un lato e rimproverata dall’altro alla comunicazione social, specialmente in campo politico: l’assenza di filtri e la possibilità di parlare direttamente, senza l’intermediazione di qualcuno.
Proprio quest’ultima caratteristica è stata, specialmente nei primi tempi, argomento ricorrente di chi decantava le potenzialità del web e delle sue evoluzioni, lodando la possibilità di parlare liberamente, cosa che non si può fare con i tradizionali media, stampa, televisione, siti web che filtrano i contenuti mantenendo un controllo su quanto pubblicato. Una possibilità irresistibile per una politica sempre più populista che, sin dai primi anni ’90, ha sempre cercato di abbattere l’intermediazione in favore di una politica solo apparentemente più diretta. Apparentemente perché, in realtà, si tratta spesso di comunicazioni unilaterali e chi commenta non ha alcuna concreta possibilità di essere preso in considerazione. La gran parte delle volte, giustamente aggiungeremmo, l’autore neanche legge i commenti sotto il suo post.
La rivoluzione dei social network ha certamente ampliato la possibilità di comunicare. Ha allargato la pletora di fruitori di contenuti, raggiungendo un pubblico prima lontano. Ha fornito importantissimi spazi di condivisione e di confronto, prima più difficili. E ha permesso di fornire strumenti per approfondire argomenti di varia natura, raggiungendo pagine di cui prima si ignorava l’esistenza.
Ma ha anche amplificato il fenomeno della personalizzazione della politica. E lo abbiamo visto anche a Bitonto, quando sono sorte su Facebook pagine dedicate non ad un assessorato, ma all’assessore che la ricopriva. Pagine destinate a sparire con la fine del mandato. Con lo sviluppo dei social si è fatto sempre più labile il confine tra contenuti privati del singolo esponente e contenuti politici e la ghiotta possibilità di parlare senza alcuna intermediazione è stata colta al balzo per depotenziare gli uffici stampa. E ha anche contribuito ad un calo di partecipazione politica vera e propria, lasciando, in tanti, la convinzione che per partecipare basti lasciare qualche commento sui social. Oltre ad aver contribuito ad involgarire il dibattito politico con l’abbattimento dell’intermediazione tipica dei metodi comunicativi più tradizionali. Tantissime volte le discussioni sono sforate in battibecchi offensivi ed infruttuosi, frutto non di scambi di pareri politici, ma di risentimenti e rancori personali.
Ma, al di là degli aspetti negativi, la comunicazione oggi deve necessariamente passare per i social network. Sono una realtà innegabile. Tutti lo hanno capito. Compresi quegli esponenti politici che, per età anagrafica e inclinazioni personali, non sono mai stati molto pratici nel loro utilizzo.
E la dimostrazione l’abbiamo avuta anche nelle ultime competizioni elettorali comunali, con la comparsa de candidati sindaco anche sulla piattaforma più moderna tra quelle popolari al momento: TikTok.