Prima le elezioni primarie, poi le regionali del 2005 videro l’affermazione di un nuovo protagonista della scena politica italiana: Nichi Vendola. Sì, italiana, non solamente pugliese. Non solo perché il successo del politico di Terlizzi travalicò i confini della nostra regione. Non solo per la particolarità dell’elezione, in una regione tradizionalmente di destra, di un comunista omosessuale, come egli stesso si etichettò prima e dopo la campagna elettorale. Ma anche per le peculiarità del personaggio di Vendola, della sua narrazione, degli strumenti da lui utilizzati per affermarsi nell’agone politico.
Bitonto ebbe modo di conoscere il terlizzese già alle politiche del 1994, quando, a seguito di riconteggio, subentrò alla Camera del Deputati al posto di Cettino Trotta, esponente cittadino del Msi e per pochi giorni deputato.
Nel 2005, ricordiamo, sconfisse Francesco Boccia alle primarie del centrosinistra e vinse contro il governatore uscente Raffaele Fitto alle successive regionali. La sua vittoria inaugurò una stagione nuova per la Puglia, che fu detta “primavera pugliese”. Il suo governo durò dieci anni, seguito dal decennio a guida Michele Emiliano ancora in corso.
Il web è stato uno degli strumenti che hanno permesso l’ascesa di Vendola. Uno strumento non unidirezionale come la tv, ma multidirezionale, realmente in grado di stimolare la partecipazione attiva di persone ormai sempre più lontane dai luoghi tradizionali della politica, come voleva la narrazione imperante sin dagli anni ‘90, quando internet diventava sempre più strumento di comunicazione di massa. Ma fu davvero così multidirezionale?
La webpolitica permetteva una visibilità maggiore rispetto alla tv. Anche per questo, ben presto, dalla politica nazionale sbarcò a quella locale. Soprattutto a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, che attribuì maggiori poteri e maggiore autonomia alle regioni, approdò anche in ambiti più ristretti rispetto a quello nazionale, e con l’avvento dei social network, campo in cui la Regione Puglia fu la prima ad avventurarsi con un profilo ufficiale, come sottolineò Lorenzo Mosca in “La web politica”. E, infatti, uno dei personaggi che più ha sfruttato, sin dall’inizio, le opportunità concesse dalla rete è, senza alcun dubbio, Nichi Vendola. L’ex governatore pugliese seppe fondere, con grande disinvoltura, populismo ed esposizione mediatica, sfruttando i social network per creare di un vero e proprio brand elettorale.
La carriera politica di Vendola è legata a doppio filo con lo sviluppo sempre più celere di internet e delle sue potenzialità. Il politico di Terlizzi fu uno dei primi a coglierne i vantaggi. Per comprendere come le nuove frontiere della comunicazione abbiano inciso profondamente nell’agenda politica di Vendola, basta fare un paragone tra le due campagne elettorali. Nel comprendere meglio la figura di Vendola è utile leggere “La Fabbrica di Nichi. Comunità e politica nella postdemocrazia”, di Onofrio Romano, volume in cui, partendo dall’analisi di Colin Crouch sullo stato di salute delle democrazie occidentali, si analizza il fenomeno Vendola, la sua retorica, i suoi strumenti.
Come sostiene Romano, già nel 2005 Vendola riuscì a bucare la mediasfera, sbilanciata a favore dei suoi avversari, istituendo un legame diretto con la cittadinanza, attraverso un lungo pellegrinaggio nei comuni pugliesi. Ma non solo. La sua vena movimentista emerse già all’epoca, con l’istituzione in molte città dei “comitati di partecipazione civica”, preludio delle “Fabbriche di Nichi”, che sarebbero sorte cinque anni dopo. Essi furono il vero traino della candidatura di Vendola, grazie anche al ruolo, sebbene più limitato e meno sofisticato rispetto alla seconda campagna elettorale del 2010, di internet, che funse da collegamento tra le varie realtà cittadine.
Grazie al sito web personale del candidato, le varie città ebbero l’occasione di agire in sintonia dal punto di vista dell’organizzazione degli eventi e della campagna elettorale. Ma quell’enorme mobilitazione, quella partecipazione che avevano accompagnato e permesso la salita alla Regione Puglia non ebbero seguito dopo la vittoria. I comitati chiusero ovunque e, durante il quinquennio amministrativo, il distacco da ogni comunità politica (Vendola lasciò poco dopo Rifondazione, a seguito del fallito tentativo di assumerne la guida) accentuò l’antipartitismo e la natura populista del pensiero del governatore.
Una natura che si mostrò soprattutto nella campagna del 2010, per la riconferma alla presidenza della Regione, quando l’uso delle nuove piattaforme multimediali divenne perno della campagna elettorale. Grazie soprattutto a Facebook e Twitter, Vendola e il suo staff, composto da agenzie di comunicazione, spin-doctor, collaboratori che lo avevano accompagnato nel quinquennio di governo precedente, crearono e collegarono tra loro le “Fabbriche di Nichi”, nate per essere «l’embrione di un soggetto politico nuovo e autonomo». Un embrione autonomo specialmente dai partiti, che o erano ostili, o totalmente inconsistenti, come il suo stesso partito, SEL. Dai siti web di Vendola e della Fabbrica e dalla pagina Facebook del governatore, partì un’intensa campagna di marketing, condotta dallo staff della Fabbrica Zero, quartier generale delle Fabbriche di Nichi, sito nel centro della città di Bari. Una campagna che portò alla crescita esponenziale dei sostenitori.
L’uso intenso delle piattaforme telematiche gli permise di cambiare strategia rispetto al 2005. Non ci fu il giro di tutte le piazze, di tutte le sedi di partito, associazioni, sindacati. I comizi furono considerevolmente ridotti a pochi grandi appuntamenti. In tal modo non scese più a livello orizzontale, non fu più facilmente avvicinabile, ma si rifugiò nella nel web. La campagna elettorale, inoltre, assunse sempre più le sembianze delle grandi competizioni politiche americane. Sparirono le bandiere di partito, sostituite dai cartelli con la scritta “Vendola presidente”. Fu creato un vero e proprio merchandising per l’autofinanziamento e si attuò una vera e propria americanizzazione della competizione elettorale. Del resto, la campagna elettorale attraverso i social network poteva già vantare illustri esempi a livello mondiale: Barrack Obama.
Naturalmente la vittoria del 2010 non fu decretata solo da questi nuovi strumenti di comunicazione. Anzi, tutt’altro. Il fattore principale fu la divisione del centrodestra, presentatosi frammentato in due coalizioni.
Ma, indubbiamente, il web consentì di coinvolgere una nuova categoria di elettori, i giovani mediamente istruiti, abituati all’uso delle tecnologie, magari disillusi e non legati a nessun tipo di militanza politica o a rapporti particolaristici con i politici. E non solo. Grazie alla loro natura movimentista, all’assenza di tessere, furono avvicinati anche giovani già militanti in altri partiti, sottratti a questi ultimi e attirati dalla retorica giovanilista, contro i vecchi politici che tenevano lontane le nuove leve dalla politica che conta. Il tutto grazie ad una propaganda antipolitica e antipartitica e all’esaltazione delle virtù civiche, dei cittadini virtuosi contrapposti ai politici di mestiere, alla politica vista come sporca e corruttrice. Le Fabbriche avrebbero dovuto, sottolinea sempre Romano, scardinare la vecchia politica. E proprio per questo, agli Stati Generali delle Fabbriche fu dato il nome di “Eyjafjallajökull”, come il vulcano islandese la cui eruzione fece saltare, nel 2010, il sistema europeo dei trasporti aerei: «Una metafora per significare l’energia della nuova politica messa in campo, che con la sua eruzione manda in tilt la vecchia politica e i suoi rituali lisi, creando nuove pratiche e nuove visioni».
Ma come conciliare questa visione fortemente antipolitica, con l’invito a sostenere Vendola nell’ascesa in quel mondo visto come sporco e cattivo?
Grazie al suo carisma, Vendola si presentò, attraverso i vari canali dell’informazione, come un uomo nuovo e trasparente. Un uomo infiltrato nelle istituzioni per riformarle dall’interno.
La maggior parte dell’elettorato fu raggiunta, in realtà, da quella “vecchia politica” tanto denunciata, grazie ai personali bacini di voti dei personaggi di spicco del suo partito. Ma grazie ad internet Vendola arrivò laddove non poteva arrivare Sel, il suo partito volutamente lasciato malfermo. Permise di coinvolgere un gruppo volutamente selezionato e omogeneo di persone, invitando loro a proporre idee ed “esempi di buona politica”, come il guerrilla gardening e altre iniziative simili. Un espediente per coinvolgere questi nuovi elettori facendoli sentire protagonisti e sottraendoli alla fatica della mediazione all’interno di partiti politici che rappresentavano la vecchia politica. Compreso Sinistra Ecologia e Libertà, partito liquido e personale che, con il venir meno di Vendola, è scomparso come ogni partito che si fonda solamente sul carisma del leader.
La mediazione, infatti, comporta il compromesso, l’andare incontro alle proposte dell’altro, con un risultato lontano dalle idee di partenza di ciascuno.
Gli operai delle fabbriche, in realtà, svolgevano solo un ruolo passivo e acquiescente. Si limitavano a reagire ai segnali ricevuti dai professionisti delle tecniche di persuasione dello staff di Vendola. Segnali che spesso facevano uso dei più classici clichè di sinistra per la creazione di momenti di aggregazione attorno a simulacri ideologici, per dirla con le parole di Romano.
Le decisioni vere e proprie erano prese da Vendola e dal suo staff di esperti della comunicazione, dai politici a lui più vicini. Dunque, la grande opera di mobilitazione svolta su internet, più che aver incentivato la partecipazione, coinvolse giovani creativi, provenienti da tutta la Puglia, per utilizzarli nella campagna elettorale. Nonostante la retorica del web come strumento interattivo di democrazia, la comunicazione rimase unilaterale. La pagina personale di Vendola, che raggiunse un numero di follower maggiore rispetto a quella di Berlusconi, fu perlopiù utilizzata per comunicare appuntamenti, partecipazioni televisive e per rilasciare commenti su particolari questioni politiche. Ai commenti degli utenti non ci fu mai risposta. Una comunicazione rigidamente verticale esattamente come quella televisiva, nonostante la retorica imperante narrasse l’esatto opposto.
Le Fabbriche non furono altro che luoghi di ritrovo di giovani creativi che contribuivano alla mera campagna elettorale creando videoclip, organizzando concerti ed eventi vari «ludoteche per giovani idealisti, dove tutti possono esprimersi liberamente, senza pretendere di interferire con la realtà». Non certo uno spazio di discussione politica, né tanto meno di partecipazione vera e propria: «Non incrementano la possibilità del popolo di condizionare la vita pubblica, di incidere sulle questioni collettive. Non impediscono alle èlite professionali e agli esperti in tecniche di persuasione di avere supremazia nelle scelte politiche e nella conduzione del dibattito politico».
«Le Fabbriche non si inquadrano, in tutta evidenza, in un modello di tipo democratico», ma postdemocratico, evidenzia ancora Romano, riprendendo la definizione di Colin Crouch di “postdemocrazia”: «Anche se le elezioni continuano a svolgersi regolarmente e a condizionare i governi, il dibattito elettorale è saldamente controllato e condotto da gruppi rivali di esperti nelle tecniche di persuasione. In tale contesto la massa dei cittadini svolge un ruolo passivo e apatico, limitandosi a reagire ai segnali che riceve».
Un modello falsamente democratico che, tuttavia, ha avuto grande seguito nella politica locale, anche quella a noi più vicina. Basti pensare ai tanti tavoli programmatici, think tank e via discorrendo, sorti nelle varie competizioni elettorale per dare l’impressione soprattutto a giovani sempre più lontani dalla vita politica di sentirsi coinvolti e di poter incidere su decisioni che erano, invece, già state prese.