1989. Come già anticipato, fu un anno molto particolare. Un anno che cambiò la storia. Quella del mondo intero, dell’Europa, dell’Italia. Cambiò la politica, facendo venir meno le premesse su cui si era basata fino a quel momento. Primo degli sconvolgimenti che caratterizzarono la politica fu, senza ombra di dubbio, la caduta del Muro di Berlino.
Fu costruito a partire dal 13 agosto del 1961, lungo la linea di confine tra le zone in cui, dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Germania era stata suddivisa per evitare che tornasse ad essere così forte da costituire, ancora una volta, un pericolo. Quel muro, poi, servì per arginare le continue fughe dei cittadini tedeschi dall’Est, verso l’Ovest.
Per ben 28 anni quella cinta muraria aveva diviso non solo Berlino e la Germania. Aveva diviso l’Europa ed il mondo, divenendo il simbolo più tangibile della cortina di ferro che separava il blocco capitalista occidentale al blocco comunista sovietico.
Primo passo verso la demolizione del muro fu, nell’agosto ’89, la rimozione delle restrizioni tra Austria e Ungheria, decise da quest’ultima, aprì la strada alle manifestazioni dei tedeschi che desideravano raggiungere la parte occidentale del paese. Manifestazioni di massa ampliate dalla vista di quei treni pieni di ungheresi e cecoslovacchi diretti ad ovest.
La decisione di concedere la possibilità, previ appropriati permessi, di attraversare il confine, unita ad errori di comunicazione da parte delle autorità della Germania Orientale, provocò il 9 novembre ’89, un enorme afflusso di persone lungo i varchi. Una presenza umana a cui non era preparato l’esercito schierato al confine che, in mancanza di adeguate istruzioni, impossibilitate a contrastare una tale fiumana di gente, aprirono i posti di blocco. In migliaia si diressero verso i varchi, mentre tanti altri, armati di piccone, iniziarono a demolire la cinta muraria che aveva diviso la città per quasi tre decenni.
Si aprì la strada alla riunificazione tedesca, dopo 44 anni di divisione, e al crollo dell’intero blocco sovietico. Iniziò quel processo che porterà alla fine della Guerra Fredda, con l’Urss che, due anni dopo, ammainerà la sua bandiera, sconfitta ideologicamente ed economicamente.
L’89 fu una data spartiacque non solo nella politica internazionale, ma anche in quella nazionale. Già indeboliti da decenni di attacchi antipolitici, con una partecipazione fortemente in calo, afflitti da problemi di corruzione e, di conseguenza, alle prese con le indagini della magistratura e con un’opinione pubblica sempre più ostile, i partiti politici si avviarono verso la loro morte. Anche chi riuscì ad affrontare tutto ciò, senza danni sostanziali, scontò comunque una bruciante sconfitta ideologica, tanto che, nello stesso novembre 1989 l’onorevole Achille Occhetto propose di sostituire il nome del Pci, per smarcarsi da quella pesante eredità lasciata da un blocco comunista ormai in frantumi.
«Ricordo le lacrime che si versarono nella sezione quando, il 26 dicembre 1991, fu ammainata la bandiera dell’Urss sul Cremlino. Ho visto i compagni piangere, perché era la fine di un sogno, di un’idea in cui avevano creduto per una vita intera» ricordò ai nostri taccuini l’ex deputato Giuseppe Rossiello.
La fine di quella guerra ideologica tra Ovest ed Est, con la sconfitta del sistema comunista, tuttavia, non nocque solamente al Partito Comunista Italiano, ma anche ai suoi avversari che, d’un tratto, si erano trovati senza quel nemico, quello spauracchio che, per decenni, aveva dato loro linfa vitale e ideologica. Caduto il comunismo, non c’era più bisogno di anticomunismo
Vennero meno, in sostanza, le basi che avevano retto la Prima Repubblica e quei partiti che l’avevano animata, già messi a dura prova dalla crisi politica, si trovarono ancora più inermi, spogliati della loro veste ideologica e identitaria che aveva permesso loro di sopravvivere. Indifesi davanti agli attacchi antipartitici provenienti da più fronti: dalle forze antisistema, dai mezzi di comunicazione, che davano sempre più voce alla piazza e persino dall’antipolitica di personaggi all’interno delle istituzioni, come fu in caso del presidente Francesco Cossiga con le sue “picconate” al sistema dei partiti, volte a demolirlo proprio come quelle che i tedeschi diedero al Muro di Berlino.
Ovviamente i partiti si trovarono indifesi anche di fronte alle inchieste della magistratura sui fenomeni di corruzione. Iniziò la “grande slavina” descritta da Luciano Cafagna. Uno ad uno caddero, sparirono i protagonisti di quaranta anni di politica. A cominciare proprio dal Partito Comunista. Ma ritorneremo più in là sull’argomento come vedremo più in là.