Prevista e disciplinata nel titolo V della Costituzione italiana, la Provincia è il secondo ente territoriale, in ordine di grandezza, dopo la Regione, in cui è divisa l’amministrazione del territorio italiano. Prima dell’istituzione delle regioni era il primo ente territoriale, l’unica via di mezzo tra Comuni e governo centrale.
L’istituto provinciale era già prima dell’unificazione, nel Regno di Sardegna. Abolite durante il fascismo, le istituzioni democratiche delle province italiane non furono restituite sin da subito nell’ordinamento italiano, come invece accadde per i Comuni, anche perché si temeva la possibile duplicazione delle competenze con le regioni, istituto allora inesistente, sebbene previsto dalla Costituzione. Nei primi anni di Repubblica, quindi, si continuò a mantenere un assetto provvisorio basato sulle antiche deputazioni provinciali prefasciste ricostituite su nomina prefettizia. Solo nel 1951 si decise di reintrodurre i consigli provinciali con la legge n.122 dell’8 marzo 1951, rinviando l’iter per la creazione dei consigli regionali che, come dicemmo nel precedente appuntamento di questa rubrica, furono introdotti solo nel 1970.
Ma, da qualche anno a questa parte, la Provincia di Bari non esiste più. È stata soppressa per far posto ad un altro istituto: la Città Metropolitana, introdotta nel ’90 con la legge 142 che riformò gli enti locali, ma nata dopo una gestazione di diversi anni, oltre 20. È entrata in funzione nel capoluogo pugliese, solamente dal 1 gennaio 2015, quando l’ex presidente della Provincia di Bari Francesco Schittulli, lasciò il posto al sindaco metropolitano Antonio Decaro, assumendo molte competenze della Provincia e stravolgendo l’assetto dell’istituto precedente.
Le cariche che governano la Città Metropolitana non sono più eleggibili dalla popolazione, ma dai 717 amministratori locali e dai sindaci dei 41 comuni dell’hinterland barese che eleggono i 18 componenti. Il sindaco del Comune Bari è, automaticamente, sindaco metropolitano (alle prime e uniche elezioni furono eletti, nel consiglio metropolitano, anche il sindaco Michele Abbaticchio, poi nominato vicesindaco, e Francesco Natilla).
Nella Provincia, invece, era la popolazione e votare chi poi avrebbe amministrato l’ente, come avveniva per i Comuni. Si votava per i membri del consiglio provinciale e, dal ’93 in poi, per il presidente. Prima del ’93, invece, l’elezione del presidente avveniva successivamente, ad opera del consiglio, in base alla legge vigente anche per l’elezione del presidente del Consiglio dei Ministri.
Nato per dividere alcune competenze tra il governo centrale e i suoi enti territoriali, negli ultimi dieci anni l’istituto è stato sempre più oggetto di una narrazione che lo descriveva come un ente inutile e costoso.
Diversi sono stati i bitontini eletti nel vecchio consiglio provinciale o, nominati, nelle giunte che si sono succedute nel suo mezzo secolo di vita. Elencarli tutti sarebbe un’impresa ardua. Ci limitiamo, quindi, alle ultime legislature. A partire da Damiano Somma (Forza Italia) e Antonio Sblendorio (Partito Democratico) che, nella giunta di Francesco Schittulli, sono stati, rispettivamente, in maggioranza e opposizione. Nella stessa giunta, fino alle sue dimissioni, è stato assessore Michele Labianca, nostro ex sindaco.
Prima ancora, nella giunta Divella, Pasquale Picciariello (Sdi, poi eletto assessore al Bilancio), Vito Palmieri (assessore al Turismo), Antonio Sblendorio, al suo primo mandato e Giacomo Schiraldi, che fu consigliere, per il centrosinistra, anche nella precedente giunta Vernola insieme a Francesco Paolo Carelli, poi nominato assessore al Patrimonio.
Nicola Tarantino (Psdi), invece, fu assessore nella giunta Ricchiuti, al governo dal ’90 al ’95, l’ultima ad essere eletta con il vecchio sistema, prima dell’entrata in vigore dell’elezione diretta.