Nel 2013 la Lega Nord cambiò volto. Il 7 dicembre, con la vittoria alle primarie degli iscritti, lo storico fondatore del partito regionalista venne sconfitto da Matteo Salvini. A quest’ultimo andò l’81,66% delle preferenze, mentre a Umberto Bossi solo il 18,34%. Il senatùr aveva guidato la Lega sin dalla sua fondazione, nel 1987 ed era stato sostituito da Roberto Maroni nel 2012, in seguito alle dimissioni per lo scandalo Belsito (le accuse di appropriazione per fini privati dei finanziamenti pubblici destinati al partito). Nel 2013, quindi, si tennero le primarie per permettere agli iscritti di individuare un nuovo segretario che godesse dell’appoggio di un’ampia parte della base.
Classe 1973, giovane esponente del partito, Salvini vi era entrato nel 1990, dopo una precedente frequentazione del centro sociale Leoncavallo di Milano, storico spazio della sinistra nel capoluogo lombardo. E, infatti, nella lega vi entrò con idee non tradizionali: fu esponente della corrente dei comunisti padani, oltre ad essere cronista del quotidiano La Padania. Deputato dal 2004 al 2006, divenne parlamentare europeo nel 2009 e nel 2012 fu segretario nella Lega Lombarda. Prima di ottenere, l’anno dopo, la guida del partito che fu di Bossi.
Con Salvini al timone, la Lega si trasformò, mettendo in secondo piano le volontà separatiste e autonomiste che avevano caratterizzato la creatura politica di Bossi che, ricordiamo, a fine anni ’80 aveva riunito con una struttura confederale diversi movimenti regionalisti dell’Italia settentrionale: Liga Veneta Lega Lombarda, Piemonte Autonomista, L’Union Ligure, Lega Emiliano-Romagnola, Alleanza Toscana. La Lega di Bossi rappresentava un’istanza autonomista molto più presente nel Nord, più ricco e con una storia decisamente diversa da quella delle regioni meridionali. E si nutriva di una sempre crescente crisi dei partiti politici nazionali, che a fine anni ’80 e inizio anni ’90 era giunta al suo culmine. I movimenti autonomisti si erano imposti sempre più nella politica prima locale e poi nazionale, utilizzando una retorica fortemente populista, antipartitica e ostile alla parte meridionale della penisola italiana. Una retorica che lamentava il dispendio di risorse che era sottratto alle ricche regioni settentrionali, a vantaggio di un Sud visto come un pesante rimorchio, luogo di malaffare e malapolitica. E denunciava anche come la forte presenza di immigrati meridionali fosse, per il Nord Italia, causa di problemi che andavano dalla sottrazione del lavoro per i residenti locali alla criminalità, organizzata e non, passando per la denuncia di un’impossibilità di integrazione tra gli abitanti delle due parti del territorio nazionale. Il governo centrale e il parlamento, inoltre, erano visti come ostili agli interessi del Nord, nonché come luoghi di corruzione e ruberie, ai danni dell’economia delle virtuose regioni settentrionali. “Roma ladrona” divenne uno degli slogan ricorrenti nella narrazione leghista.
Ma dalla nascita della Lega di Bossi diversi anni erano passati. I partiti tradizionali non esistevano più e la retorica di Roma ladrona difficilmente poteva essere ancora utilizzata, dal momento che la Lega più volte era stata al governo nazionale insieme al centrodestra. Era, infatti, più difficile per la lega, sfruttare un populismo che è efficace solo finchè resta un movimento e non arriva al potere. Fenomeno, questo che varrà anche per la Lega di Salvini e, come vedremo nel prossimo appuntamento di questa rubrica, è stato confermato anche da un altro movimento che del populismo estremo ha fatto la sua linfa vitale: il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo.
L’ostilità al Sud era, infine, diventata meno popolare, nel corso nei decenni.
Se a tutto questo si aggiunge la perdita di popolarità dovuta agli scandali, che avevano fatto sprofondare ai minimi storici la formazione autonomista, anche nei suoi baluardi storici, si spiega facilmente la svolta impressa da Salvini. Una svolta destinata a creare una nuova Lega. Una Lega che metteva apparentemente da parte il dualismo nord-sud e il “Prima il Nord”, per spingersi alla conquista dell’Italia intera. Pur continuando ad inseguire un progetto federalista mai abbandonato.
A fine 2014, Salvini fondò, dunque, un nuovo movimento personale chiamato “Noi con Salvini”, chiamato a sostenerlo nel Centro Italia e nel Mezzogiorno. Sorsero sezioni del nuovo gruppo anche a Bitonto, che, in più occasioni, fu oggetto di intervento da parte, tra tutti, del coordinatore regionale Rossano Sasso.
«Dopo le proteste dei cittadini di Goro, anche in Puglia finalmente qualcosa si muove. Grazie alla protesta dei cittadini di Palombaio, una frazione di Bitonto, è stato bloccato l’arrivo di nuovi immigrati in un territorio penalizzato per mancanza di strutture e di servizi» scrisse Sasso nell’ottobre 2016, quando la città di Bitonto balzò agli onori delle cronache nazionali per l’annuncio della creazione di un centro di accoglienza nella frazione di Palombaio. Annuncio che suscitò diverse polemiche da parte dei residenti che sottolineavano l’incapacità del piccolo centro abitato a fornire adeguata accoglienza a quelle persone.
L’episodio accadeva pochissimo tempo dopo i fatti di Goro, comune del ferrarese che, nello stesso mese, aveva visto diversi cittadini manifestare contro l’insediamento di alcuni migranti nel suo territorio. Prima di Sasso, il caso di Bitonto fu cavalcato anche dallo stesso Salvini: «Dopo i cittadini di Goro, quelli di Bitonto. In una frazione del comune in provincia di Bari sarebbero dovuti arrivare 27 immigrati, ma il NO della popolazione ha vinto […]. Cittadini 1 – Clandestini 0. Bravi!».
E la demagogia antimigranti fu, sin da subito, uno dei temi ricorrenti del populismo di Salvini. Un populismo diverso da quello di Bossi. Meno regionalista e più mirato ad inseguire le tendenze mutevoli dell’opinione pubblica facendosene mero megafono. La Lega di Salvini si allontana dal modello di partito regionalista, abbandona la territorialità (nonostante in precedenza ne fosse stato interprete anche lui), per conquistare il sud Italia e per somigliare sempre più ad un partito pigliatutto, interessato ad allargare il suo bacino di consensi intercettando temi più popolari del momento. Attraverso soprattutto un uso dei social network totalmente incentrato sulla figura del leader carismatico e su un rapporto apparentemente diretto con i cittadini italiani.
E, infatti, la Lega di Salvini fu un partito personale che ruotava attorno a Salvini e accentuava un personalismo che era, comunque, già presente con Bossi, se pure in misura minore. Quella di Salvini fu una figura ingombrante che, in più di un’occasione, ha fatto emergere dissensi e fratture all’interno della stessa Lega.
A sancire la definitiva trasformazione in partito personale, la vittoria di Salvini ad ulteriori primarie nel 2017, che videro la riconferma del leader in carica. Da Lega Nord, il nome mutò in Lega per Salvini Premier. La Lega Nord divenne così un partito personale a tutti gli effetti, come Forza Italia di Berlusconi, Sel di Vendola, l’Italia dei Valori di Di Pietro, giusto per fare qualche altro esempio.
Grazie ai social network, Salvini crebbe notevolmente i suoi consensi, sfruttando una macchina propagandistica che fu soprannominata “la bestia”. Una macchina che usava i social per raggiungere diverse fasce di popolazione. Sui profili di Salvini si sprecano post su casi di cronaca efferati, così da cavalcare facili consensi attraverso la demagogia securitaria. Specialmente se gli autori dei reati sono immigrati, così da unire securitarismo e ostilità all’immigrazione. Sfrutta selfie e video informali durante attività quotidiane per dare l’idea di essere una persona comune al pari dei suoi simpatizzanti (una sottintesa narrazione populistica che mira a prendere le distanze dalla “politica lontana dai cittadini” e a presentarsi come cittadino come tutti). Sfrutta interazioni con gli utenti attraverso iniziative volte a rendere questi ultimi non semplici utenti passivi dei social, ma soggetti attivi (qualcuno si ricorderà, ad esempio del “Vinci Salvini”, che premiava il numero dei like messi ai post del leader leghista, con la condivisione di una sua foto sulla pagina ufficiale, una telefonata o un caffè insieme a lui. Un modo per utilizzare quella che, in gergo, viene chiamata “call to action”, cioè, appunto, una iniziativa volta ad invitare l’utente dei social ad un’azione (like, sottoscrizione, commento o altro).
Una macchina destinata però a crollare qualche anno dopo, in seguito alle vicende giudiziarie che videro coinvolta la mente che si celava dietro di esse: Luca Morisi, accusato di aver comprato droga. Un caso che non fu molto rilevante dal punto di vista giudiziario, tanto da essere archiviato in breve tempo. E non sfiorò minimamente il leader. Ma fu comunque in grado di frenare l’avanzata della bestia e di Salvini, anche perché, al centro di tutto c’era l’acquisto di droga da parte di quello stesso Morisi che, per conto di Salvini, stigmatizzava di frequente i fatti di cronaca ad essa legati.
Specialmente in vista delle elezioni europee del 2014, con Salvini, la Lega si avvicina molto ai partiti italiani ed europei di estrema destra come l’italiano Casapound, il Front National di Marine Le Pen, storico partito nazionalista francese e l’ungherese Viktor Orban. Abbracciò temi come l’euroscetticismo, l’immigrazione e la sovranità. E così, quel “Prima il Nord”, divenne “Prima l’Italia”. E i tricolori un tempo disprezzati e denigrati divennero simbolo ricorrente nella retorica salviniana.
Obiettivo di Salvini era la formazione di un nuovo fronte sovranista, alternativo alle altre forze politiche europeiste. Un obiettivo perseguito anche attraverso una serie di confronti con Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, destinata però a superarlo nei consensi quando l’apice della sua fortuna elettorale cominciò a declinare a seguito dell’esperienza nel governo Conte I.
Ma di questo ne parleremo in seguito.