da Michele Abbaticchio, in qualità di vicecoordinatore nazionale di Italia in comune, riceviamo e volentieri pubblichiamo.
È inutile girarci intorno: il terreno dei personalismi, dei cambi di casacca, delle individualità ha cancellato il confronto delle idee e dei programmi. Forse perché la enorme sfiducia della gente nella politica ingenera, proporzionalmente, la guerra dei pacchetti di voti. Uomini e donne vendono i loro presunti consensi personali cercando liste dove la matematica delle previsioni consentirebbe loro di trionfare verso l’agognato seggio elettorale: liste bicicletta, liste triciclo, liste nominali. “Quello è mio, quello è tuo”. Cosi i nomi vengono buttati sul tavolo. Senza idee, senza progetti armonici. Al massimo uno slogan. Al massimo una protesta verso qualcosa di insopportabile a più gente possibile, sperando che quella stessa gente si ricordi di chi ha protestato, sia pur occasionalmente.
La nebbia è tanta anche in Puglia, in una valle in cui i leader nazionali si contendono la visibilità cercando la definizione peggiore o migliore sul candidato Emiliano, dimenticando primarie fatte e che il centrodestra va ricomponendo pezzo dopo pezzo, a seguito di una co-esperienza gestionale, di alcuni esponenti, con la stessa Giunta regionale attuale.
Ma è proprio in questi momenti, in cui tutto sembra concesso al cinismo e opportunismo politico, che si ravvede l’opportunità di pensare, di rivivere una nuova alba politica. In Puglia un manipolo, nutrito, di amministratori e ex amministratori locali, ha creato una squadra. Tante sezioni locali portano una sigla partitica semisconosciuta, denominata Italia in comune. Nella nebbia suddetta, l’unico partito di centrosinistra, oltre al PD, che presenterà una lista regionale di 50 candidati senza accostamenti di alcun genere, basandosi su una organizzazione priva di mezzi finanziari ma di grande entusiasmo su una politica del fare, del vivere i quotidiani problemi locali, è questo baby partito di cui mi onoro di far parte.
Lo hanno chiamato il partito dei sindaci o quello delle competenze, riferendosi alla esperienza accumulata dai suoi protagonisti su quella vera e propria frontiera che sono i comuni italiani. E forse il segreto è questo: nell’era del covid sono stati proprio gli enti locali a reggere la “baracca” nazionale fronteggiando la disperazione, la miseria e la fragilità umana riscoperta in pandemia mondiale. Nessuno di noi avrebbe voluto vedere l’Italia chiusa, un Paese che addirittura ha rinunciato a un diritto inalienabile come la pubblica istruzione, dopo aver perso quello del lavoro per tutti. Da queste ferite occorre ripartire, da questa visione di un mondo più fragile bisogna prendere spunto non per contrastare la fragilità stessa, ma per valorizzarla. L’uomo e la donna dell’era Covid sono esseri fragili e la politica deve rendere un valore questa caratteristica, portando l’essenzialità della competizione economica e sociale all’obiettivo di rendere tutto, qualsiasi tutto, a misura del singolo essere umano come parte di una comunità socialmente più debole.
Le elezioni regionali saranno infatti il primo appuntamento al voto post covid, la nuova sfida di una politica che deve assumere un nuovo linguaggio difronte a una nuova realtà. Una politica che deve proporre un nuovo progetto in un Paese e in regioni, che hanno perso il proprio piano strategico. Lo hanno perso perché è stato travolto e portato via dalla nuova emergenza che l’Italia si ritrova ad affrontare, forse la peggiore. Improvvisamente ed inesorabilmente.
Quale momento potremmo ipotizzare per creare un nuovo laboratorio politico, se non proprio questo? Ne abbiamo bisogno. Come di noi stessi.