Il 29 marzo i cittadini saranno chiamati ad esprimersi sul taglio del numero dei parlamentari voluto dall’attuale governo e, in particolare, dalla componente pentastellata, che da sempre ne ha fatto uno dei cavalli di battaglia.
Con l’avvicinarsi dell’appuntamento elettorale, si mobilita il fronte del “no”, di coloro che vedono in questo taglio un pericoloso attacco alla democrazia e alla sua istituzione centrale, il Parlamento, minandone la rappresentatività.
Ieri, nella sede dell’associazione Left, si è tenuto il primo incontro del “Comitato per il no al taglio del Parlamento”, organizzato con la partecipazione della sezione cittadina dell’Anpi. Un incontro in cui, a spiegare le ragioni del no a questa riforma, sono intervenuti Nicola Colaianni, docente ordinario della Facoltà di Giurisprudenza all’Università degli Studi di Bari, e lo storico Andrea Catone.
Catone, facendo un breve excursus dell’idea stessa di democrazia parlamentare, dall’800, fino al riconoscimento del suffragio universale, sottolinea come la costituzione repubblicana italiana, dopo l’amara esperienza del fascismo, abbia fatto dell’assise parlamentare il principale luogo di espressione delle realtà esistenti nel paese, un luogo dove fosse riconosciuto il pluralismo esistente nella società italiana, caratterizzata dalla presenza di classi sociali e forze politiche diverse tra loro, molto variegate: «Il Parlamento non è solo il luogo dove si dice “sì” o “no”. È il luogo dove si elabora la politica, attraverso una mediazione tra le diverse realtà che non è “inciucio”. Con il taglio dei parlamentari si diminuirebbe la capacità del Parlamento di rappresentare adeguatamente tutto il paese, tutte le categorie. Sarebbero tagliate le forze minori, a cui sarebbe tolta ogni possibilità di esprimersi, di farsi sentire. Senza contare la riduzione dei componenti delle commissioni, che ne minerebbe la funzionalità e porterebbe a far passare leggi decise da poche persone. Già oggi si rimprovera ai parlamentari che sono lontani. Così sarebbe ancora peggio. Non si vedono tra noi perché non ne hanno bisogno, in quanto grazie alle ultime leggi elettorali, con le liste bloccate, non rispondono agli elettori, ma solo ai capi politici».
«Di per sé potrebbe anche andar bene la riduzione, avvenendo proporzionalmente. Ma dovremmo fare una legge elettorale di tipo proporzionale, in modo da dar modo anche alle minoranze di esprimersi – conclude – Nella costituzione originaria il numero dei parlamentari era anche maggiore. Il numero è stato già ridotto nel 1963. Tagliare ulteriormente significherebbe tagliare le ali, diminuendo il pluralismo».
Sulla stessa linea è Colaianni, che ribadisce come già oggi il Parlamento sia stato svuotato del suo ruolo di controllore del governo, finendo con il diventare succube dell’esecutivo e dei capi politici: «Dico “no” a questa semplificazione della democrazia. C’è qualcuno che pensa che la democrazia si faccia con due click al computer, sul web (esplicito riferimento alla piattaforma Rousseau del M5s, ndr), dove non c’è la possibilità di replica e controreplica, ma si clicca sul candidato che piace più o meno degli altri».
«Questo non è un taglio dei Parlamentari, ma del Parlamento stesso, nel ruolo di centro della vita democratica» evidenzia Colaianni citando affermazioni di Grillo e Casaleggio che teorizzano il superamento dell’istituto parlamentare.
«Se si aprisse questa falla rischieremmo altri sovvertimenti della nostra costituzione. Rischiamo di spianare la strada a forme di governo in cui il ruolo del Parlamento è sminuito in favore del ruolo del governo e dei capi politici, che, in mancanza della possibilità, per l’elettorato, di esprimere preferenze, decidono chi devono essere i rappresentanti, come già adesso succede essendo il Parlamento svuotato del suo potere. Il dilagare del sì potrebbe aprire le porte alla trasformazione presidenzialistica, che legittima la svalorizzazione della democrazia parlamentare, a vantaggio di una democrazia autoritaria. L’attacco alla costituzione è iniziato con la fine della guerra fredda, con la trasformazione in forma presidenzialistica delle elezioni comunali, provinciali e regionali. C’è una cultura del disprezzo del ruolo della politica, una cultura dell’antipolitica che disprezza il ruolo della politica, riducendola a imbroglio, affari personali».