Cosa si prova a restare in una casa, la propria, dichiarata inagibile già da un anno? Quale coraggio o paura anima il cuore di una persona di 74 anni che, sola con la sua piccola cagnolina, resta nel palazzo in cui ha vissuto, anche dopo l’evacuazione imposta alle famiglie che ne hanno abitato la quotidianità? Quanta incoscienza occorre ad una mamma per chiudere gli occhi la sera con il suo bambino senza sapere se il soffitto reggerà il peso dei loro sogni?
La signora Rosalia De Giosa è stata sapientemente tratta in salvo dai vigili del fuoco dopo ventisei ore, salvata da una camera d’aria fortuita che le ha consentito di respirare sotto le macerie. E forse un angelo avrà messo le ali ai piedi di quella mamma, presente in casa al momento del crollo, con il piccolo addormentato portato fuori dalle mura domestiche svanite in una nube di polvere, giusto un passo oltre la tragedia.
Un anno intero da quando era stato evacuato il palazzo di via de Amicis a Bari e poche settimane dall’inizio dei lavori che avrebbero dovuto evitare ai residenti di perdere ogni cosa, ogni suppellettile, ogni vestito, cappotto, stoviglia, regalo, ricordo.
È forse questa paura e la solitudine nel dover necessariamente attraversare questo rischio ad aver esposto le possibili vittime al pericolo di perdere la vita e ad averle lasciate, oggi, comunque vittime del perdere tutto quello per cui magari hanno vissuto, lavorato, sacrificato tempo e affetti.
Ascoltare, nel silenzio delle ore trascorse abituando il respiro al ritmo delle paure, lo scricchiolio improvviso di qualche controsoffitto, fermarsi magari un istante per capire se le crepe dell’intonaco si allungano. Questa sarà stata la quotidianità nella speranza che i lavori di consolidamento riportassero le cose al loro giusto posto.
Si potevano abbreviare i tempi degli interventi? Quanto tempo ora dovrà trascorrere per restituire alle famiglie evacuate almeno lo spazio fisico in cui poter esprimere l’esistenza? Tra quanto tempo la città rivedrà sanata via de Amicis e il suo quartiere, Carrassi, che conserva ancora le atmosfere dell’inizio del secolo scorso a Bari, quando i commerci animavano l’edilizia e la società?
Questo disastro annunciato è una occasione che riporta in collegamento il singolo e la comunità in modo forte. E quel vulnus su cui si sparge acqua e si distendono teli di protezione che contengano il sollevarsi delle polveri, sfigura lo spazio comune e le vite di ciascuno.
In un’Italia sempre più povera, in cui forse la casa è rimasto l’ultimo baluardo di un bene sicuro, per fortuna non ci troviamo a contare vite perdute, ma il rumore di questo crollo ha un’eco che raggiungerà anche le finestre dei palazzi in cui si dovrà fare presto chiarezza e restituire giustizia a tutte le parti lese.
(foto di Il Corriere del Mezzogiorno)