I cimiteri monumentali sono uno scrigno d’arte spesso ignorato, dimenticato, non percepito come tale a causa della moderna concezione che si ha dei cimiteri, visti esclusivamente come luoghi tristi, di dolore. Una concezione diversa da quella ottocentesca che li vedeva come luoghi di passeggio, dove, anche da morti, i membri delle famiglie ricche potevano mostrare il loro status sociale, la loro ricchezza, il loro prestigio.
È, questo, l’argomento dell’ultimo libro di Liliana Tangorra, “Eterna vanitas – Iconografia angelica nell’arte funeraria pugliese (1840-1980)“, presentato giovedì alle Officine Culturali.
«C’era una vera e propria gara di vanità nei cimiteri ottocenteschi. L’arte e l’architettura nei cimiteri dovevano rispecchiare l’arte nelle città. Il “palazzo eterno” nel cimitero doveva essere altrettanto bello come il palazzo della famiglia nella città» spiega l’autrice, il cui volume analizza anche l’evoluzione della rappresentazione di una delle immagini più vive all’interno dell’arte funeraria, presente «sin dalla notte dei tempi»: l’angelo. Partendo dalle origini della figura dell’angelo nell’arte precristiana, Liliana Tangorra ne delinea gli archetipi della stagione contemporanea, attraverso il passaggio di grandi scultori.
Il libro, dunque, attraverso il suo viaggio all’interno dei cimiteri monumentali della Puglia, cerca di ridare dignità a un luogo d’arte dimenticato e agli artigiani e artisti rimasti nell’anonimato. Uno scrigno i cui tesori sono spesso andati perduti proprio perché, come già anticipato, non è percepito come tale: «Ci sono cimiteri che conservano più di altri la loro vocazione di luoghi d’arte. Alcuni hanno una vocazione più architettonica, altri più scultorea».