L’eredità di Gaetano “Tanino” Avena è tutta nell’originalità della sua poesia, che meriterebbe di gravitare in un’orbita critica ben più ampia di quella strettamente locale.
Qui non si vuole commemorarlo, poiché, in fondo, il poeta continua a vivere nel silenzio e nell’intimità di chi lo ha fatto suo in coscienza. Il solo modo per celebrare Avena, oggi, è leggerlo. La poesia di Avena nasce dall’incontro dello spirito del tempo con la sensibilità dell’artista. Essa non ha date ufficiali, né riti collettivi: il poeta non è un professionista, non si forma ad alcuna scuola, non s’iscrive ad alcun albo. Poeti si è, e Gaetano Avena lo era, con uno stile di non-poeta, se non, addirittura, di contro-poeta. Uno stile unico, da cui traluce la persona, e attraverso il quale si scorge, spiritualmente, l’artista. Nell’arte poetica di Avena, non credente, c’è lo stesso fuoco mistico del credente Bloy: nei suoi versi spesso affiora un’emotiva ricerca di altezze e di profondità, dimensioni dello spirito raggiungibili solo con lo “stacco” da ciò che è superficialmente terreno. La poesia per Avena è il medium esclusivo nella ricerca dell’Assoluto: il verso s’intrica volentieri per fuggire l’ovvio e affidare all’individuo il compito di districarsi tra le banalità dell’oggi; le immagini dell’anima, groviglio di una sensibilità vastissima, paiono una fiammeggiante tavolozza dei fauves; e poi, un po’ dappertutto, echi agostiniani e strade ammantate di Mistero e punteggiate di segnacoli di luce che annunciano la redenzione. La verità è nella realtà esterna solo nella misura in cui si sappia cogliere, poeticamente, l’essenza della bellezza del Creato.
Eppure, è proprio nell’umanità distratta, massa damnationis, la denuncia di Avena dell’egoismo del progresso che dà solo l’illusione piccolo-borghese della felicità.
È questa, a voler insistere sul tasto della “religiosità” della sua poesia, la denuncia della condizione del peccato e dell’assenza di Dio dal mondo, ma è anche, di riflesso, l’ammissione implicita dell’afflato divino.
Nella sua ultima raccolta “Nel dedalo”, del 2021, Avena cerca un cantuccio difensivo, un rifugio, rispetto agli strepiti della modernità, che trova, infine, nell’istintività della natura come incontaminato primordio dell’esistenza (in part. nella poesia “La nudità”). In “Peregrinò”, nella stessa raccolta, v’è un’ansia d’evasione dall’esistenza materiale, da ciò che è o appare “relativo”. È, qui, la ricerca di silenzio, e di quelle sfumature dei tanti silenzi interiori che Avena ritrova solo in certi suoni della terra e in certe tinte del cielo, tra realtà e surrealtà. Ma il silenzio di Avena richiede solitudine, come nell’ “io” solitario di “Si sporgono”, o in liriche di tensione verso l’alto (“Vedo che ami cogliere la felicità… Vedo che ami ispirarTi, Beato…” (in: “Fuori di sé”, raccolta “La Breccia”). Ecco, la solitudine, vero recinto della poesia di Avena entro cui poter esprimere, nell’intensità di un verso, la sua laica preghiera.