Si dice spesso che l’arte è immortale, in grado di sopravvivere alla naturale finitezza umana. Ma non sempre, purtroppo, è così. Esistono opere, figlie di particolari periodi, destinate a rimanere intrappolate nell’ombra della storia, come fantasmi invisibili di cui però si conosce l’esistenza. È il caso di un ritratto di Benito Mussolini realizzato nel 1936 da Francesco Speranza, grande artista bitontino di cui, quest’anno, ricorre il quarantennale dalla morte. Un artista che ha ci lasciato preziose opere destinate a vivere in eterno. Il ritratto di Mussolini non rientra tra queste. Si è perso, sopraffatto dai travagli del Novecento, probabilmente distrutto nell’immediato dopoguerra, insieme a larga parte dell’iconografia fascista, devastata dalla furia che travolse la dittatura sconfitta. Non esiste traccia, se non rare menzioni.
Tuttavia, a farla riemergere dalla nebbia del passato, in questi giorni, vi è una foto inedita. Ritrae delle donne all’interno della Casa del Fascio, edificio non più esistente che sorgeva ai piedi del Torrione Angioino di Bitonto. Erano le donne del locale Fascio Femminile. Alle spalle, il maestoso dipinto di Speranza.
La foto è tra i cimeli della mostra “Gli anni del Fascismo e il sogno di un Impero”, allestita nel Museo Archeologico e curata da Fondazione De Palo-Ungaro e Salotto Letterario Degennaro, con patrocinio del comune di Bitonto. Visitabile fino al 28 ottobre, espone numerose testimonianze del ventennio fascista a Bitonto: fotografie della vita e dei protagonisti di quegli anni, quotidiani e riviste, documenti ufficiali, oggetti in uso all’epoca, divise militari, progetti di edifici sorti nel Ventennio, alcuni non più esistenti o persino mai realizzati.
L’iniziativa segue la pubblicazione del libro “Il fascismo dietro le quinte – Il caso Bitonto”, scritto dal professor Enzo Robles, tra gli organizzatori, per «fare memoria di un passato recente, ma tanto lontano e offrire una conoscenza reale della storia vissuta dai cittadini di quel tempo e delle amministrazioni che si sono succedute».
Una mostra per raccontare “l’altro fascismo”, come lo definisce la professoressa Carmela Minenna, vicepresidente del Centro Ricerche di Storia e Arte – Bitonto, sodalizio impegnato, quest’anno, a riscoprire il Novecento, con un convegno nazionale tenutosi a maggio e con altre iniziative.
Ad essere raccontato non è, infatti, il fascismo nazionale, abbondantemente analizzato dalla storiografia, ma quello strettamente locale, fatto da personaggi noti e ignoti, che gravitarono attorno alle propaggini cittadine del governo di Mussolini. Chi per convinta adesione, tanti per convenienza o indifferenza. Molti riuscirono anche a riciclarsi, come successe nel resto d’Italia, dopo la caduta del fascismo e l’avvento delle istituzioni repubblicane.
«Molto è stato detto, a livello nazionale – sottolinea la professoressa Minenna, che ha contribuito all’esposizione -. Pochissimo, prima d’ora, è stato detto a livello locale su quel segmento ventennale di storia sgravato da una pesante ipoteca interpretativa, che per molti aspetti trova la sua conferma nella constatazione di un pensiero soffocato, di una libertà condizionata, di una dignità umana umiliata. Ma la storia e l’approccio storiografico ci educano anche alla pluralità del pensiero e alla dilatazione delle vedute».