“Il sangue del Terroni”, l’ultimo libro del giornalista Lorenzo Del Boca, è un qualcosa di diverso dagli altri.
È sconvolgente, a suo modo, perché apre uno squarcio sulle verità occulte della storia e della politica italiana, cento anni fa come oggi.
È antiretorico, perché fa a pezzi decenni e decenni di falsità ufficiali su un conflitto combattuto per gli interessi di pochi, ma vinto con il sacrificio di tanti. Settentrionali, certo. Dell’Italia centrale, senza dubbio. Ma meridionali, ancora di più.
Vuole rendere giustizia a tutti coloro che hanno perso la vita al fronte ma cancellati da un certo modo di vedere, scrivere, raccontare e far raccontare la storia.
Lo si capisce già dal sottotitolo del volume edito da Piemme: “Perché la maggioranza delle vittime della Prima guerra mondiale era formata da ragazzi del Sud”.
Frase, forse meglio dire verità storica, che fa balzare agli occhi immediatamente la tesi dell’autore: il Mezzogiorno, nel primo conflitto mondiale, ha subito la prosecuzione delle devastazioni, delle conquiste, delle spogliazioni già registratesi negli anni del Risorgimento, che non fu affatto una semplice annessione del regno borbonico che andava da Napoli in giù.
Perdendo, quindi, troppi figli innocenti, illusi di poter tornare presto a lavorare nei campi e che più che militi ignoti sono stati militi ignari. Di tutto quello che sarebbe successo.
Di tutto questo si è parlato qualche giorno fa in Biblioteca, quando il già presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti ha presentato il libro in un evento organizzato dal Centro ricerche, Comune e comitato “Bitonto onora i suoi caduti”.
“Un libro – ha spiegato Marino Pagano, moderatore della serata – dove si tocca con mano l’acuta sofferenza (dove? Nell’impossibilità di bere, se non aspettando la brina della foglia, ndr), in cui c’è sicuramente polemica ma anche ricerca storiografica con le tanti, tantissime fonti utilizzate e gli archivi consultati. Ed è un libro ancora più importante e significativo perché scritto da un settentrionale che si interessa di meridionali, e ricorda che, di quel milione e mezzo di vittime, la maggior parte apparteneva alla stessa categoria: contadini del Sud”.
La prima guerra mondiale, allora. E Del Boca ha le idee chiare: certo, la scintilla è stata quella pistolettata di Gavrilo Princip il 28 giugno 1914 contro l’arciduca erede al trono d’Austria-Ungheria, Francesco Ferdinando, e la moglie, ma i motivi vanno cercati altrove, perché è un conflitto voluto dai poteri forti, essenzialmente. E le responsabilità di tutto non sono della Germania, ma della Francia che voleva riacquisire l’Alsazia e la Lorena, perse dopo il 1870. E poi c’è stato un fenomeno da penna rossa o da matita blu: figli di duosiciliani, quindi di quei Borboni cacciati dal Belpaese pochi decenni prima, che sono andati a liberare i trentini al Nord che invece volevano essere austriaci. “Un paradosso che mi manda in bestia”, ha detto.
E, in tema di fenomeni da cerchiare, la Prima guerra mondiale è stata una guerra del Sud contro il Sud e del Nord contro il Nord.
Ci si domanda se, anche per l’Italia (“militarmente impreparata perché si è presentata con l’armamento della Terza guerra di indipendenza”) il conflitto era inevitabile, “anche perché l’industria italiana – ha ricordato – stava già guadagnando fior fior di soldi anche nel periodo di neutralità. Le donne? Sono state le primissime a capire quello che sarebbe successo”.
Il vicesindaco Rosa Calò e il presidente del Centro Ricerche Stefano Milillo hanno ricordato la centralità di eventi che mettono in primo piano la nostra storia, memoria e la consapevolezza.