Nella bellissima Cattedrale di Melfi (adesso in restauro), si erge, leggermente a destra rispetto all’altare, una scritta latina.
A prima vista, per i tanti visitatori, curiosi e turisti, può sembrare una lapide come tante altre.
Per i bitontini, però, non può e non deve passare inosservata. Perché è il bell’epitaffio che tutta la comunità della diocesi Melfi-Rapolla ha riservato a Luigi Bovio, vescovo di quella realtà ecclesiastica per oltre 18 anni. Dal 18 maggio 1829 al 6 novembre 1847, il dì della sua morte, di cui quest’anno ricorre il 170esimo anniversario.
Ma chi è Luigi Bovio? Francesco di Paola – questo il suo primissimo nome – nasce il 18 novembre 1774 a Bitonto. Giovanissimo, il giorno del suo 21esimo compleanno, nel 1795, veste per la prima volta l’abito benedettino nel monastero di Montecassino, cambiando il nome in quello di Luigi.
Ed è qui, nella importantissima realtà romana, che Bovio si fa conoscere e apprezzare per dottrina e pietà, tanto che nel 1819 diventa Abate ordinario e, successivamente, visitatore della Congregazione benedettina cassinese prima e presidente poi.
Nel 1828 si trasferisce a Cava dei Tirreni, in Campania, dove assume la carica di Abate ordinario del monastero della Ss. Trinità.
Luigi ci resta solo un anno, perché nel 1829 ricopre quello che sarà l’ultimo incarico della sua vita: diventa vescovo della diocesi di Melfi-Rapolla, subentrando a Vincenzo Ferrari, morto qualche mese prima.
E in Basilicata – come si legge nel libro “Cronaca della famiglia Bovio”, scritto da Giovanni Paolo Labini nel 1910 – si impegna tantissimo sotto l’aspetto economico e morale, perché istituisce varie opere di beneficienza, fonda nel 1835, a sue spese, un Monte di Pegni (la dicitura esatta è “Monte di Pegni dei poveri di Melfi sotto il titolo di san Benedetto”) a sollievo dei bisognosi, e si attiva nel dar vita a un Orfanotrofio per l’infanzia abbandonata, un vero dramma nella Basilicata e nell’Italia tutta di quegli anni. Il risultato più importante, però, è l’apertura di un Seminario, nel quale vuole che il clero “maggiormente fiorisse con l’incremento da lui dato agli studi classici e liturgici e segnatamente dalla scuola del canto gregoriano”, scrive sempre Labini.
Nel 1847, il 6 novembre, muore, e viene seppellito nella cattedrale di Melfi – da lui restaurata e abbellita – a fianco dell’altare dedicato a san Alessandro martire, protettore della città, con un epitaffio che ne ricorda la memoria.
Quasi 40 anni dopo la dipartita, nel 1884, il Consiglio comunale di Bitonto decide di intitolargli una strada.
In pienissimo centro, una traversa di via Giacomo Matteotti.