Ogni volta ci caschiamo. Pensiamo di essere abituati alle loro prodezze, pronti alle loro trovate sceniche e invece no. Ci sorprendono ogni volta, ci travolgono con il loro entusiasmo e ci tengono incollati su quelle poltrone di un teatro che li “merita” e che loro “si meritano” da 10 anni a questa parte.
Dieci anni di Fatti d’Arte.
Sì.
Di fatti attorno all’Arte, di manufatti che hanno il sapore e l’odore dell’Arte, di attori che si vestono e rifulgono di Arte.
Un decennale che ha visto macchiarsi le dita di Shakespeare fino a restituirlo in maniera così travolgente da spingerci a rileggerlo, con lo stesso zelo e la stessa profondità con cui lo fa da anni il regista Raffaele Romita, portando in scena, poi, quelle parole vecchie di quattro secoli nei corpi e nelle voci dei suoi attori.
Liliana Tangorra, Mariantonia Capriglione, Nicola Napoli sono l’anima storica dell’associazione cui nel tempo si sono aggiunti compagni di viaggio che poi hanno deciso di seguire altre strade, poi di rincontrarsi, rinnovati e rincuorati nell’amore per il palcoscenico. Un amore che è il tema delle “arie teatrali” prescelte e messe in scena per omaggiare il più grande drammaturgo inglese.
Il Bardo accompagna i Fatti d’Arte dal lontano 2011, quando tutto ebbe inizio con lo spettacolo “Romeo e Giulietta; è stata poi la volta di “Sogno di una notte di mezza estate” fino a giungere a “Pene d’amor perdute” e “La commedia degli equivoci”.
Per la decima candelina il regista supera se stesso e decide di proporci il metateatro: gli attori che recitano Shakespeare giocano a proporre in recita le opere di Shakespeare. Ne derivano degli sketch dapprima di esuberante ironia, a seguire, in una climax che è sapientemente calibrata, di angosciante bravura.
Si parte con Romeo e Giulietta, opera simbolo dell’amore negato e proibito dove Eros si fonde con Thanatos, passando attraverso Molto rumore per nulla, dove dall’amore deriso si passa a quello orchestrato a insaputa dei protagonisti che si trovano innamorati pur odiando l’amore stesso, fino alla tragedia delle tragedie del poeta di Stratford upon Avon, il Macbeth. E qui la forza del regista s’impone nella scelta delle tre streghe che ritmano il testo in inglese in un crescendo polifonico che è sia nenia funebre che canto tenebroso mentre il genio dello scenografo e costumista Franco Colamorea si manifesta nella scelta di colletti d’acciaio per le dodici comparse – giovani leve dell’associazione a formare uno spin-off di Fatti d’Arte, la compagnia “Quei bravi ragazzi” – che mimano le lame della tragedia e, per sineddoche, le diverse morti. Lascia tutti sbigottiti poi il sangue, rosso vivo, che d’improvviso sgorga dalla bocca dei presenti che, rabbiosamente, tentano di lavarlo via. È una rielaborazione originale e inaspettata della rabbiosa angoscia di Lady Macbeth, e della indimenticabile scena shakesperiana nella quale la donna maligna attraversa una notte insonne provando a lavar via una macchia di sangue immaginaria dalle sue mani.
Si fondono regia scenica di alto valore cinematografico e rielaborazione accurata e personale del testo da parte del regista. Un regista, Romita, che freme in cabina, recitando a memoria le battute con e come gli attori: perché, da bravo regista, egli è là con loro, sempre, dalle prove fino alla prima e poi anche dopo. Vive da vero regista perché sa essere anche bravo attore e perciò è in grado di tirar fuori e far fiorire tutti sulla scena: Nicola Napoli con il suo ineccepibile talento vocale, Liliana Tangorra con la sua travolgente potenza scenica, Mariantonia Capriglione con la sua commovente forza tragica e comica insieme.
Vince il teatro dei Fatti d’Arte, vince il teatro di William Shakespeare.
Perché gli uni, parlando il linguaggio contemporaneo, ci fanno comprendere la grandezza dell’altro: creare personaggi che diventano emblemi della vita tout court, fatta di amore e morte, sorriso e dolore, lacrime e sangue.
Chiara Cannito