Torino, 4 maggio 1949. Sono più o meno le 5 del pomeriggio di una brutta giornata di inizio mese, perché la città è avvolta in una incredibile cappa di maltempo.
Un tale, Amilcare Rocco, professione muratore, che abita a un paio di passi dalla cima di Superga, sulle colline torinesi, sente un rombo divenire via via sempre più forte fino a farsi assordante. Il fragore che gli passa in un lampo sopra la testa si trasforma subito dopo in un tonfo sinistro. Esce di casa, si avventa nella nebbia e sulla strada si imbatte in alcuni contadini della zona, tutti usciti per lo stesso motivo. Correndo sgomenti verso la Basilica che domina il colle, gli uomini scorgono sempre più nitido il profilo scomposto di una carlinga, sormontata da una colonna di fumo nero.
Il giardino che sorge ai piedi della basilica è delimitato da un poderoso bastione: proprio contro di esso si è schiantato un aereo, un Fiat G 212, provocando un foro circolare di quattro metri di diametro.
Non è un velivolo qualunque. È il mezzo che trasporta la squadra di calcio più forte del mondo all’epoca. Ha il colore granata. Si chiama Torino, o per meglio dire, il Grande Torino. Una compagine che stava conquistando l’Italia pallonara (cinque scudetti di fila dalla stagione 1942-43), rappresentava la quasi totalità della Nazionale di calcio del Belpaese, faceva parlare di sé in tutto il mondo.
Una squadra leggendaria, capace di dominare il calcio italiano come mai più sarebbe accaduto. Un team e una società assurti a modello assoluto e intoccabile.
Una compagine di grandi uomini e talenti vinta soltanto dal destino. Infingardo e beffardo come poche volte. E spazzata via alle 17,02 di quel drammatico pomeriggio. Il momento cioè dell’impatto con la Basilica, forse per colpa del pilota, sicuramente per responsabilità delle avverse condizioni meteo, probabilmente per un guasto all’interno dell’aereo.
Trentuno persone a bordo, e tutte hanno lo stesso fatal finale: la morte. Ventiquattro tra giocatori e staff del Torino, quattro membri dell’equipaggio, tre giornalisti. Ognuno con la propria storia e grandezza.
Nei confini italici e in quelli oltre. Anzi proprio tutto nasce dalla loro fama internazionale. Il Torino, infatti, in quel tragico giorno, è di ritorno da Lisbona, dove ha disputato una partita amichevole contro il Benfica, organizzata per aiutare il capitano dei lusitani, in difficoltà a livello economico.
E perché proprio il team più forte del mondo? La scintilla scocca a febbraio quando l’Italia marcata Torino vince facile, 4 a 1, con il Portogallo. Era quella la prima esperienza del dopo-Pozzo: il ciclo del vecchio alpino, straordinario artefice dei massimi successi, era giunto al tramonto. Dopo due Mondiali portati a casa, e l’oro olimpico nella Berlino hitleriana nel 1936.
Il 4 maggio è diventata la Giornata mondiale del gioco del calcio. Sempre quella data, ma dieci anni fa, è stato inaugurato il museo del Grande Torino nella prestigiosa villa Claretta Assandri di Gugliasco.