Quella sera del 4 aprile 1968, l’allora 39enne Martin Luther King, all’anagrafe Michael King junior, era a Memphis per sostenere uno sciopero dei lavoratori neri della nettezza urbana. All’improvviso, mentre si trovava sul balcone del Lorraine Motel, viene colpito da un colpo alla testa sparato da un fucile di precisione da un tale chiamato James Earl Ray.
E per lui, guida carismatica e decisiva per l’affermazione dei diritti civili dei neri negli Stati Uniti, premio Nobel per la pace nel 1964, e uno degli uomini più influenti del XX secolo, non c’è stato nulla da fare.
Da quel tragico pomeriggio sono passati 50 anni. Cinquant’anni senza la persona innamorata del Mahatma Gandhi e che ha condotto molte campagne di disobbedienza. Senza quello stratega, teorico, interprete e icona della lotta al razzismo e alla disuguaglianza negli States. L’uomo dell’”I have a dream” più famoso del mondo, e di un sogno ancora in marcia.
Già, perché lui desiderava tante cose. Anche questa: “Sogno che sulle rosse colline della Georgia i figli degli antichi schiavi e degli schiavisti possano sedere insieme al tavolo della fratellanza. Sogno che lo Stato del Mississipi, rigonfio d’oppressione e di brutalità, sia trasformato in terra di libertà e di giustizia. Sogno che un giorno l’Alabama sia trasformato in uno Stato dove bambine e bambini neri potranno dare la mano a bambine e bambini bianchi, e camminare insieme come fratelli e sorelle”.
Definire, quindi, chi è stato davvero Martin Luther King è impresa assai ardua.
Tutto e il contrario di tutto. Un pastore protestante e predicante. Un politico. Un attivista. Ma è davvero troppo, troppo poco.
Nasce nel 1929 ad Atlanta, in Georgia, nel profondo sud degli Stati Uniti, dove il razzismo è estremamente radicato. Fin da piccolo, si rende conto che il colore della pelle rappresenta un ostacolo apparentemente insormontabile. Presa coscienza di questa inaccettabile discriminazione, si dedica anima e corpo allo studio, laureandosi in filosofia e diventando un pastore iniziando la battaglia contro la segregazione razziale. Portando avanti le battaglie della famiglia, che già si era fatta sentire con una resistenza radicata contro le famigerate leggi Jim Crow, che dal 1876 sancivano la separazione razziale nei locali pubblici.
Dopo alcuni episodi significativi, entra prepotentemente sulla scena nel 1955.
C’è il fattaccio di Rosa Parks, arrestata perché non ha voluto cedere il suo posto in autobus a un bianco. E King guida una massiccia campagna di boicottaggio da parte di tutti gli afroamericani nei confronti dei mezzi pubblici locali. Il boicottaggio si protrae per ben 382 giorni, con una rilevante eco mediatica, e si conclude con un’importante vittoria: nel 1956 la Corte suprema degli Stati Uniti stabilisce infatti l’incostituzionalità delle leggi sulla segregazione sui mezzi di trasporto.
Nell’aprile 1963 è arrestato per aver violato l’ordinanza che vieta qualunque manifestazione di protesta a Birmingham, la più grande città industriale del Sud, e dal carcere scrive uno dei suoi documenti più importanti: “Sappiamo per dolorosa esperienza che la libertà non viene mai accordata spontaneamente dagli oppressori, ma che deve essere reclamata dagli oppressi”. E, in tema di parole chiave, il 1963 è anche l’anno del discorso più famoso. Washington, 28 agosto. Ci sono 200mila persone per una grande manifestazioni sui diritti civili. “Sogno che i miei quattro bambini vivano un giorno in una nazione dove non saranno giudicati per il colore della pelle, ma per chi sono nel cuore”.
L’anno successivo, oltre al già citato premio Nobel per la pace, accade qualcosa che fino a poco tempo prima sembrava inaudito. Arriva il Civil rights act, legge per i diritti civili che dice no alla discriminazione nei servizi pubblici di ogni genere, alberghi e motel, ristoranti e stadi, teatri, biblioteche pubbliche, nel lavoro e nei sindacati dei lavoratori.
Ma a King non basta. Vuole di più, il passo decisivo. Una riforma sul voto che preveda la partecipazione anche degli afroamericani. Ne parla con il presidente Lyndon Baines Johnson, ma il successore di John F. Kennedy non è proprio al settimo cielo.
Seguono marce di protesta, allora. Innumerevoli. E molte finiscono nel sangue.
Le più famose sono quelle di Selma nel 1965. C’è quella del 7 marzo, e 600 persone sono caricate dalla polizia mentre attraversano il ponte Edmund Pettus. “Bloody Sunday”, ribattezzeranno quella marcia. E quelle immagini fanno il giro del mondo, sensibilizzando e non poco l’opinione pubblica. C’è quella del 21 marzo, allora. Ci sono ben 25mila partecipanti che camminano verso Montgomery, fino alle porte del palazzo del governatore dell’Alabama, per chiedere uguaglianza.
Ma la legge, la Voting Rights Act, diventa realtà il 6 agosto dello stesso anno.
E si arriva al 1968, e a quella triste serata del 4 aprile al Lorraine Motel, oggi National civil rights museum. James Earl Ray, l’assassino – in realtà ci sono ancora molti dubbi su cosa accade veramente quel pomeriggio -, è arrestato due mesi dopo ma l’uomo, dopo l’iniziale confessione, smentisce il suo coinvolgimento parlando di un complotto contro King. L’omicidio fa divampare la rabbia della comunità nera dando vita a una rivolta in tutti i ghetti d’America con un terribile bilancio: 43 morti, 500 feriti e 27mila arresti.
Per ricordare la sua lotta, dal 1986 ogni terzo lunedì di gennaio negli Stati Uniti si celebra il Martin Luther King day. Dopo mezzo secolo, però, al pastore di Atlanta piacerebbe tanto che la piena uguaglianza diventasse realtà.
E oggi, domenica di Pasqua, preferiamo ricordarlo così. Con un suo ennesimo, magico, pensiero: “Sono contento che Gesù non abbia detto ‘abbiate simpatia per i vostri nemici’, ma ‘amate i vostri nemici’, perché c’è molta gente per la quale trovo molto difficile avere simpatia. Ma Gesù mi ricorda che l’amore è più grande della simpatia. Ho visto troppo odio per non desiderare a volte di odiare: ogni volta che vedo odio, io mi dico che è un peso troppo grande da sopportare. Non so come faremo, ma dovremo rizzarci difronte ai nostri nemici più accaniti e dovremo saper dire: noi contrasteremo la vostra capacità di infliggere sofferenza. La vostra forza fisica cozzerà contro la nostra forza morale. Fateci ciò che volete, noi continueremo ad amarvi…. ma non soltanto per noi raggiungeremo la vittoria: vinceremo anche per voi, conquisteremo il vostro cuore e la vostra coscienza, e la nostra vittoria sarà doppia. Cristo è venuto a mostrarci la via. Gli uomini amano l’oscurità piuttosto che la luce, e l’hanno crocifisso, e sopra la croce nel Venerdì Santo c’era il buio, ma poi venne la Pasqua, e la Pasqua è un eterno ricordo del fatto che la terra calpestata risorgerà”.