Quella di questa domenica, il dì di Pasqua, è un caso di cronaca giudiziaria che si è concluso dopo oltre 70 anni, in cui ha diviso l’opinione pubblica italiana.
La parola fine è stata messa dalla trasmissione televisiva “Chi l’ha visto” nel luglio 2014 e che, svelando la prova del DNA, ha confermato che il soggetto in questione non era Giulio Canella (un uomo che si era disperso durante la prima guerra mondiale), bensì Mario Bruneri, all’epoca dei fatti un latitante. Così come già aveva stabilito il processo. Al quale, però, la signora Canella non ha mai creduto e a continuato a combattere la propria battaglia.
Di chi parliamo, allora? Del famosissimo caso passato alle cronache come “lo smemorato di Collegno”, che ha diviso lo Stivale del primo dopoguerra.
Un processo e un vero caso mediatico avviatisi dopo un annuncio sulla “Domenica del Corriere” del 6 febbraio 1927: “Ricoverato il giorno 10 marzo 1926 nel manicomio di Torino (casa Collegno). Nulla egli è in condizione di dire sul proprio nome, sul paese d’origine, sulla professione. Parla correntemente l’italiano. Si rileva persona colta e distinta dell’apparente età di anni 45”.
Diventa subito “lo smemorato di Collegno” e, altrettanto in tempi celeri, è conteso da due donne, convinte che quest’uomo fosse il loro marito. Da un lato c’è Giulia Canella, dall’altro Rosa Bruneri.
Il caso, in realtà, doveva essere chiuso già dal 1931, anno in cui la corte d’appello di Firenze sentenzia che il 45enne sia Mario Bruneri. Succede, però, che la famiglia Canella, e soprattutto Giulia, non ha mai accettato la sentenza, lo ha sempre riconosciuto come proprio congiunto, lo ha seguito in Brasile nel 1933 quando ha ricevuto l’amnistia.
La parola fine, come detto, soltanto nel 2014.
La storia è diventata, naturalmente, materia fertile per il teatro (leggasi Pirandello e De Filippo), cinema e televisione (storico rimane il film del 1962 con Totò, ma da segnalare anche la fiction Rai del 2009), letteratura.