Questa, per una volta tanto, è una storia davvero breve da raccontare ma ancora intensa da vivere. Anche perché, come tante, è ancora alla ricerca di una conclusione, di un bandolo della matassa, di un perché, di un qualcosa che faccia luce. Dopo 35 anni.
Già, perché tutto questo tempo è passato da quel giorno. Da quella scomparsa. Da questo caso ancora irrisolto.
Partiamo dal principio, dunque. Un nome e cognome come tanti, degni di un ragazzo che pensava di essere un ragazzo come tanti, anche vista la giovanissima età.
Pietro, dunque. Camedda, allora. Pietro Camedda, quindi. Chi è costui? Un ragazzo piemontese che fino all’età di 18 anni aiutava la famiglia nel salumificio di loro proprietà. Allo scoccare della maggior età, arriva anche per lui l’immancabile e inevitabile chiamata al servizio di leva.
Dopo i primi mesi in Liguria, è trasferito al “Passalacqua” di Novara. Ma il 31 luglio 1984 si sarebbe dovuto recare alla caserma Perrone, poco distante. Accade, però, una cosa strana: dopo essersi regolarmente presentato all’appello mattiniero delle 8.30, nessuno ha preso più nota dei suoi spostamenti e la sera non si è presentato all’altro appello.
Dove è? Che fine ha fatto? Ed è da questo momento in poi che inizia un’altra pagina oscura del nostro Belpaese, anche questa messa sotto la sabbia.
Dopo tre giorni, soltanto dopo tre giorni – attenzione, però, è la prassi in ambito militare – e le prime accuse e ipotesi di diserzione (cadono, presto, però, e viene assolto), – iniziano le sue ricerche, ma che non portano assolutamente a nulla, anche perché le voci si rincorrono tra lettere anonime, rivelazioni, idee complottistiche e, soprattutto, la poca volontà di arrivare alla conclusione.
Già, perché è questa la sostanza dei fatti. A poche, pochissime persone interessava che fine avesse fatto quel povero ragazzo 19enne piemontese. Tra le eccezioni c’è stata la trasmissione “Chi l’ha visto” che, più di una volta, anche attraverso importanti testimonianze, ha puntato i fari su questa storia alimentando l’idea del complotto e che Pietro sarebbe stato, addirittura, ucciso in caserma con tanto di sepoltura lì, nello stesso luogo.
Ipotesi plausibile (è quella che, ancora oggi, dopo 35 anni, si pensa sia quella più corretta), ma mai completamente dimostrata e accettata, soprattutto dalla giustizia e dalla magistratura.
Eppure, il caso Camedda è arrivato addirittura in Parlamento, tramite le indagini che sono state effettuate. È il 1990, quando un deputato socialista, Filippo Fiandrotti, ha presentato una interpellanza al Governo, e in modo particolare al ministro della difesa Virginio Rognoni, per avere delucidazioni e scuotere finalmente a trovare la verità su che fine avesse fatto Pietro.
Ha avuto tre risposte: fuga in Finlandia per raggiungere una ragazza conosciuta mesi; fuga causata dal nonnismo in caserma; morte per omicidio per aver assistito ad attività illecite in caserma a opera di commilitoni e occultamento del cadavere al suo interno.
Ma, 35 anni dopo quel 31 luglio, la notte è ancora buia.