Questa domenica la cominciamo così.
Andiamo indietro fino al 22 ottobre 1969. Due squadre stanno scendendo in campo per la finale di ritorno della Coppa intercontinentale, la competizione che metteva difronte le vincenti della Coppa Campioni europea e di quella sudamericana, comunemente nota come Copa Libertadores.
La squadra europea è il Milan. L’avversaria è l’Estudiantes.
Teatro di tutto è uno degli stadi più famosi al mondo, “La Bombonera” di Buenos Aires.
I rossoneri escono dal sottopassaggio per entrare sul terreno di gioco. Gli ultimi metri non sono protetti e appena i primi giocatori sbucano fuori, su di loro viene rovesciato caffè bollente. Comincia così una delle più violente partite della storia del calcio, una selvaggia caccia all’uomo che si conclude addirittura con l’arresto di Combin, un argentino in forza alla squadra meneghina.
Tutto è stato da non crederci quella sera: l’intimidazione ambientale, l’acquiescenza arbitrale, la mancanza di ogni sicurezza. Alla fine di tutto, però, per il Milan è la prima vittoria nella manifestazione, dopo la beffa atroce ricevuta sei anni prima contro il San Paolo di Pelè.
Ma perché si arriva a questi estremi? I Campioni d’Europa hanno vinto facilmente l’andata, a domicilio, con un netto 3-0, e nel tabellino dei marcatori era finito anche Nestor Combin. Un argentino di nascita ma naturalizzato francese e che per di più aveva osato anche segnare. Un’onta che, al ritorno, l’avrebbe pagata a caro prezzo. Perché lui, faccia da pugile, passato nel Torino e nella Juventus, era il più odiato del suo Paese.
Il trattamento disumano inizia con il caffè bollente, allora. È solo l’inizio. Bagnati di caffè, i milanisti sono al centro del campo schierati per la foto. E mentre si mettono uno accanto all’altro, entrano quelli dell’Estudiantes. Hanno un pallone a testa e inventano una strana maniera per il riscaldamento: prendono a pallate gli avversari.
Ed è stato Giovanni Lodetti, uno dei forti rossoneri di quella squadra, a raccontare la vergogna di quella sfida. “La partita è stata tutta così, quando avevi il pallone arrivava qualcuno e ti spaccava. L’arbitro, un cileno, se ne fregava bellamente. Ci fu un terzino che falciò Prati, poi arrivò il portiere Poletti e gli mollò un calcio nella schiena. Prati dovette uscire dal campo”.
Già, Poletti. Teniamo a mente questo nome. Nel secondo tempo della partita, con gli argentini avanti sì 2-1 ma un punteggio inutile per alzare il trofeo, inizia una terribile caccia all’uomo.
Inutile precisare chi.
L’estremo difensore di casa – poi radiato dalla Federazione argentina – sferra un pugno devastante a Combin, che esce dal campo con la faccia sanguinante, con naso e zigomo rotti. Ma non se la cava con così poco, perché il peggio deve ancora arrivare. A fine partita, con il Milan che si è aggiudicato il trofeo, è arrestato dalla polizia proprio per diserzione e sarà costretto a passare una notte su una branda, in una piccola cella della sede della polizia e subire tre estenuanti interrogatori.
Raggiungerà mister Nereo Rocco e compagni – che lo avevano aspettato – la mattina successiva in aeroporto per tornare in Italia. E preferirà non denunciare alla giustizia ordinaria tutto ciò che aveva subito in campo.
Queste le sue parole: “Io non denuncio nessuno. Ciò che avviene sui campi di calcio è un affare di sport, non di polizia”.