La convinzione di tutti è che, prima o poi, sarebbe arrivato a giocare in serie A, anche perché gli mancava davvero poco. Un solo gradino.
Donato Bergamini, invece, la massima competizione calcistica non l’ha mai vista, perché un triste destino, infingardo, subdolo e beffardo lo ha strappato alla vita a soli 27 anni. Ma c’è di più, tanto di più. Perché la natura che tanto ha ingannato questo giovane ragazzo che amava tanto il pallone, la vita, ha una mano umana ancora misteriosa. Senza volto. Identità. Nome e cognome. Dopo quasi 30 anni.
Donato Bergamini, allora. Un ragazzotto che, come tanti della sua epoca ed età, si innamora del gioco del calcio, e lo inizia a praticare in modo serio a 20 anni – stagione 1982-83 – con la maglia dell’Imola in Interregionale. Un passo importante arriva nel 1985, quando scende in Calabria per indossare la maglia del Cosenza, dove rimane per cinque stagioni. In modo particolare, in quella 1987-88, i rossoblù vincono il Campionato di serie C1 e salgono in B, e proprio il talento nato ad Argenta nel 1962 è uno degli artefici principali, oltre che un titolarissimo per il mister dell’epoca, Gigi Simoni. Resta anche in serie B, dove però gioca poco per colpa di un infortunio, e resta confermato anche per la stagione 1989-90.
La sua ultima, e neanche intera perché un giorno, un terribile giorno, accade qualcosa che fa entrare il povero Donato tra i misteri italiani.
È il 18 novembre 1989. Il tutto è agghiacciante. Bergamini muore a Roseto Capo Spulico, nell’alta Calabria, investito da un autotreno lungo la statale 106 jonica. Il conducente del mezzo è stato inizialmente imputato di omicidio colposo, ma è stato assolto per non avere commesso il fatto, perché la tesi dei giudici era un’altra, anche sulla base di alcune testimonianze. Davide Bergamini si era suicidato. Inizia, da questo momento in poi, allora, una lunga sequela di domande, di ricostruzioni, di piste fantasiose e inconcludenti che però non hanno portato a nulla. Perché Davide si doveva togliere la vita? Si diceva, infatti, che fosse terrorizzato da qualcosa. Che viaggiasse con una Maserati munita di radiotelefono che sarebbe appartenuto a un pregiudicato cosentino. Qualcosa, però, c’era, tanto che proprio Gigi Simoni aveva notato che il ragazzo era cupo e triste nell’ultimo periodo, come se fosse davvero accaduto qualcosa.
La famiglia, in realtà, non ha mai creduto alla tesi del suicidio, e con lei anche altri. Michele Padovano, che poi farà fortuna anche in serie A con casacche davvero prestigiose e che di quel Cosenza era la punta di diamante. E Carlo Petrini, che nel 2001 ha anche scritto un libro dal titolo “Il calciatore suicidato”, nel quale afferma, senza infingimenti, che il giovane calciatore è stato ucciso dalla criminalità locale.
Oltre ai lunghi servizi e reportage di “Chi l’ha visto”, una svolta arriva nel 2011, perché la procura di Castrovillari ha riaperto ufficialmente le indagini in base alla presenza di nuove prove. E l’anno successivo viene finalmente dimostrato che Davide Bergamini è stato ucciso perché, grazie al lavoro dei Ris, si è potuto capire che al momento dell’impatto con quell’autotreno era già morto. Ma c’è ancora di più: soffocato con una sciarpa e poi gettato sotto il camion.
Due anni fa, allora, accade una cosa ovvia, oltre che scontata e giusta. La riapertura delle indagini, con altre persone indagate.