Ormai, purtroppo, lo sappiamo. Alcune (tante?) delle cose accadute nell’aprile 1945 resteranno per sempre senza spiegazione. È stata guerra civile,è vero, ma un colpo di pistola alla nuca a un mutilato e un invalido è qualcosa che nemmeno la guerra civile può essere giustificare. Perché, da che mondo e mondo, un cieco non ti farà mai del male, ma il problema è che questo cieco era fascista.
No, non è fantastoria. Questa è la fine che ha fatto Carlo Borsani, a Seconda guerra mondiale praticamente conclusa. Tanti, adesso, si chiederanno chi mai sia questo personaggio, e cosa abbia fatto per meritare una fine davvero orrenda. In uno degli episodi più spiacevoli e di crudeltà umana della storia partigiana italiana.
Carlo Borsani, dunque. Un poeta. Un intellettuale. Un giornalista. Politicamente sempre stato vicino al Fascismo, è stato un uomo la cui vita è stata davvero un’offerta di sé alla patria e la cui morte ha rappresentato la conquista di un martirio per l’idea.
Nasce nel 1917, e giovanissimo perde il padre a causa di un incidente sul lavoro. Il suo eroismo, prima di tutto personale e poi verso gli altri, si evince durante la Seconda guerra mondiale. Quando perde la vista in battaglia, per esempio, è appena scappato dall’ospedale da campo in cui era stato ricoverato in seguito al plurimo ferimento da schegge, che non gli aveva impedito di resistere al suo posto di combattimento per 12 ore, cosa che gli varrà una menzione per una medaglia d’argento al valore militare. Una volta diventato cieco, però, non vorrà mai imparare il Braille e girare con il bastone.
Nella campagna di Russia, non si tira indietro e va sul campo di battaglia per portare pacchi e dare il suo supporto e contributo, ma il clima rigido gli rende la vita e le ferite difficili da sopportare e torna in patria.
Il fascismo, dicevamo. La sua condanna a morte. Politicamente, infatti, Borsani è stato il più giovane consigliere nazionale del Partito nazionale fascista. Mussolini – che lo ospiterà innumerevoli volte, dialogando anche di letteratura e filosofia greca – lo nomina presidente dell’Associazione nazionale mutilati e invalidi di guerra, ruolo grazie al quale gira l’Italia centro-settentrionale per spiegare perché occorre dire no al tradimento. In un radiomessaggio del 10 novembre 1944 dice: “Se oggi tutto sembra perduto, dite al mondo e soprattutto al nemico che in Italia esiste ancora una generazione di uomini pronti a tutto osare pur senza nulla sperare, che esiste una giovinezza intatta nella sua fede e nel suo amore che attende solo le armi per irrompere sulla via del combattimento”.
Fonda il giornale “Repubblica fascista”, ma ben presto è licenziato perché lui, fascista da sempre, si azzarda a parlare di pacificazione nazionale. Il 27 aprile 1945 viene arrestato e, due giorni dopo, subisce un processo sommario ed è fucilato in piazzale Susa dopo aver gridato “Viva l’Italia” stringendo una scarpina di lana della figlia.
Ma la vera infamia arriva a morte già avvenuta. Il cadavere è gettato su un carretto della spazzatura, con appeso un cartello con su scritto “Ex medaglia d’oro”. In questo modo gira per Milano, fino ad arrivare all’obitorio ed essere infine sepolto al Campo X del cimitero di Musocco.
Purtroppo, gli assassini, ingenui, si sono sbagliati. La medaglia d’oro non si revoca. Carlo Borsani è, sarà sempre, medaglia d’oro al Valor Militare.
Oggi come allora, per aver difeso la Patria, terra dei padri, di tutti i padri, anche di quelli che hanno generato i suoi esecutori.
Ci sono storie che qualificano, altre che squalificano, questa fa entrambe le cose.