Questa è una vicenda talmente incredibile che ben presto la vedremo sul piccolo schermo. Su Netflix, per essere precisi. Ebbene, il colosso che ha cambiato radicalmente la storia della televisione mondiale con le sue serie televisive e i programmi di tutte le età, ben presto ci farà (ri)piombare su alcune coordinate entrate nella storia repubblicana del Belpaese con un film in cui ci saranno anche Elio Germano e Luca Zingaretti.
Segniamocele, allora: 44°09?50?N 12°43?12?. Troveremo, adesso, a poca distanza tra loro, le piattaforme metanifere dell’Agip Azalea A e Azalea B.
Cinquant’anni fa, però, tutto era diverso. Lì, in quel punto dell’Adriatico è nata, vissuta e affondata un’isola. Che aveva la mania di grandezza di essere indipendente dallo Stivale. L’isola (indipendente) delle rose. O, per essere davvero precisi, Insulo de la Rozoj in quanto, su quella piattaforma di 400 mq distante appena 500 metri dal confine italiano e a 12 miglia dalla costa emiliana, si parlava esperanto.
A metterla in piedi – anzi sull’acqua – un ingegnere bolognese. Giorgio Rosa. Che già da qualche anno, e precisamente dall’adesione alla Repubblica sociale italiana durante la Seconda guerra mondiale, covava la volontà di staccarsi dal tricolore e rendersi indipendente.
La Repubblica delle rose è inaugurata ufficialmente il 1°maggio 1968, e aveva tutto per pensare in grande: una moneta propria, una linea filatelica, una bandiera – tre rose bianche in campo rosso – un governo come lo conosciamo noi oggi, con una presidenza del Consiglio dei dipartimenti e da cinque dipartimenti, suddivisi in divisioni e uffici. E, non contento, voleva crescere sempre più a livello architettonico, finanziarsi aprendo ristoranti, negozi e souvenir in arrivo dalla vicina e frequentatissima Rimini, ricreare un piccolo mondo autonomo anche fiscalmente, sul modello di san Marino o Principato di Monaco.
Tutti i giornali parlano – per lo più delle volte male, o molto spesso in modo speculatorio – di questa incredibile storia. Della folle idea di Rosa. Che però è durata lo spazio di un mattino, o qualcosa di poco più.
Non solo perché non è mai riconosciuta da nessuno come stato indipendente, ma soprattutto perché la risposta italica è rapida ed efficace. Già a giugno 1968, infatti, arrivano vedette e pilotine di Capitaneria di porto, polizia, carabinieri e Guardia di finanza. La Repubblica delle Rose diviene subito isolata dal resto del mondo, l’approdo assolutamente vietato, e occupata militarmente.
Nel febbraio 1969 arriva la fine di tutto. La Repubblica è distrutta con 527 chili di tritolo, 50 di plastico, 2mila metri di miccia detonante, e il tutto nonostante un disperato appello al presidente della Repubblica e un ricorso al Consiglio di Stato.
Il sogno dell’ingegnere felsineo finisce così. Come era inevitabile.
L’episodio, anche perché derubricato a una trovata commerciale, è lentamente sparito dalle cronache giornalistiche e storiche, ma dagli anni ‘2000 è oggetto di curiosità e analisi.
Già detto del progetto di Netflix, infatti, nel 2012 Walter Veltroni ci ha scritto addirittura un libro. Il titolo? “L’isola e le rose”.