Quello che vi raccontiamo questa domenica, la prima di giugno, parte da un assurdo ma che tale non è: un bengala nascosto nelle mutandine di una ragazza di nome Rosenery. È una delle storie più vigliacche della storia del calcio, forse la più vigliacca, trasformatasi poi in una macchia indelebile per il principale protagonista, “El Cóndor”, chiamato così dai tifosi perché sapeva volare da un palo all’altro come un meraviglioso rapace, ma che dopo quella bravata ha detto addio al mondo del pallone. Lei, invece, si è persino guadagnata la copertina della osannata rivista “Playboy”, prima di prendere la via della decadenza.
Ma torniamo alla guest star. Si chiama Roberto Rojas, ha difeso per 49 volte i pali della porta della nazionale cilena, dal giugno del 1983 fino al 3 settembre 1989. Ed è proprio lui a spiegare la genesi di quell’onta incancellabile, che nulla ha a che fare con lo sport. Partendo da tre settimane prima: “Il 13 agosto abbiamo ospitato il Brasile, pareggiando. Non fu una gara, ma una corrida. Romario, attaccante verdeoro, venne espulso dopo aver preso a pugni Alejandro Hisis e si giustificò con l’arbitro sostenendo che Alejandro aveva tentato di morderlo. Un altro mio compagno di squadra, Raul Ormeno, prese a calci Valdo e Branco, e anche per lui scattò il cartellino rosso”.
Calcisticamente parlando, allora, per accedere ai Mondiali in programma l’anno successivo in Italia, il Cile avrebbe dovuto vincere al Maracanà e violare il tempio dei carioca.
Arriva il 3 settembre 1989. Il primo tempo si concluse a reti inviolate, davanti a 160mila brasiliani scatenati. All’inizio della ripresa, Careca – che giocava nel Napoli insieme a Maradona – portò in vantaggio i suoi e nei festeggiamenti ecco apparire la mano di Rosenery, protesa a lanciare il bengala che andò a cadere a pochi metri dalla porta, e che aveva messo in sicurezza negli slip per eludere i controlli della polizia.
Ed è in quel preciso istante, con quel bengala in campo, che si consuma la vergogna delle vergogne. “Non aspettavo altro – racconta lo stesso Rojas – mi gettai a terra, come se fossi stato colpito da un proiettile, e mentre mi passavo le mani sul volto afferrai un piccolo bisturi che avevo sistemato in un’intercapedine dei guanti e mi tagliai la fronte. Un colpo netto e deciso”.
Il volto coperto di sangue finì in mondovisione e i suoi compagni, all’oscuro di tutto, comunicarono all’arbitro che non avrebbero più giocato. Vinsero a tavolino e staccato un biglietto per il Belpaese con i brasiliani esclusi.
Il “Condor” pensava di aver fregato davvero tutti, ma così non è stato.
A bordo campo, infatti, c’era un fotoreporter, l’unico a immortalare e dimostrare che quel bengala era caduto a ben tre metri da Rojas, e che quella messa in piedi dall’estremo difensore cileno era stata una pagliacciata. Dalle conseguenze disastrose per il calcio nazionale, uno dei simboli su cui si voleva rinascere dopo la terribile dittatura di Augusto Pinochet. Il Cile, infatti, è stato estromesso non soltanto dal mondiale “azzurro”, ma anche da quello americano del 1994.
“Con il calcio – ammette – ero arrivato al capolinea. Avevo 32 anni e quella notte si concluse la mia carriera e buona parte della mia vita. Neppure le scuole calcio mi hanno voluto, non sono un buon esempio per i bambini che si avvicinano allo sport. A distanza di anni penso a quella notte, al sangue che mi coprì il volto, e al pube di Rosenery”.
La cui sorte non è stata meno malvagia. Detto della copertina sulla rivista a stelle e strisce, è morta nove anni fa, in una baraccopoli di Rio De Janeiro, nella miseria più totale e con il viso devastato dall’alcool.