Giovanni Memoli sperava sino agli ultimi giorni, quando stava terminando la sua missione in Libano, di poter venire a Modena in servizio. Invece è arrivato pochi giorni fa per una delicatissima operazione al viso dove i sanitari gli hanno trovato altre trenta schegge metalliche sulle ossa degli zigomi e del cranio: è quella che resta oggi, oltre alla cecità e alle ferite al volto, di un attentato a Beirut a cui è scampato per miracolo.
«Quando il telegiornale fece vedere le immagini della jeep su cui viaggiava assieme ai suoi commilitoni – racconta il padre Nicola – in casa restammo paralizzati. Non riuscivamo neppure a immaginare cosa potesse esserci rimasto del nostro Giovanni. Le prime notizie lo davano per morto assieme al collega al suo fianco. Poi lo hanno portato subito in sala operatoria e da Beirut è arrivato in Italia alcuni giorni dopo. Salvo, sì, ma distrutto nel fisico e nell’anima».
Quella bomba esplosa in un incrocio di Beirut al passaggio di un convoglio militare dei nostri Caschi Blu, è stato un punto di svolta anche nella politica dei controlli per le strade della capitale libanese. Anche Hezbollah, la fazione dei musulmani sciiti che controlla buona parte del Paese dei Cedri, capì che la politica degli attentati, delle bombe contro i contingenti dell’Onu non portavano a nulla e quella fiammata di violenza si esaurì.
A distanza di quattro anni Giovanni Memoli porta ancora sul corpo i segni di quell’esplosione. L’onda d’urto gli ha demolito una parte della faccia, rubato un occhio e compresso il nervo ottico dell’occhio rimasto, per così dire, salvo. L’organo c’è ancora ma la vista no. «Ogni tanto – sospira il padre – mi dice che vede qualche ombra, un punto di luce. La speranza è l’ultima a morire ma la realtà non ammette illusioni: l’unico centro al mondo che prova a curare queste patologie è ad Harvard, negli Stati Uniti; ci hanno già detto che poteva forse avere qualche possibilità se curato a poche ore di distanza. Oggi non si può fare nulla. Per fortuna che qui a Modena i sanitari che lo hanno preso in cura hanno fatto tanto: ora è torna ad avere la sensibilità sul viso».
Al Policlinico ha trovato due equipe che stanno ricostruendo il viso: i dottori Chiarini e Anesi si occupano della parte maxillo facciale, il collega De Santis della chirurgia plastica. Giovanni è rifiorito per i passi in avanti, mentre la famiglia si commuove per i risultati raggiunti.
E lui? S’impegna, collabora nelle cure, non ha perso l’ottimismo di chi è abituato a darsi da fare lasciando la casa di famiglia a Bitonto per andare nei vari ospedali. Da quando è avvenuto l’attentato, il 27 maggio 2011, sono passati quattro anni; ora cammina appoggiandosi al braccio dei famigliari, la sorella Marianna e la madre Maddalena che assieme al padre lo hanno seguito sino a Modena. Ha imparato a convivere con la mancanza della vista, in attesa che da qualche progresso scientifico arrivi una scoperta inattesa che gli permetta di recuperare la vista dell’occhio rimasto. Giovanni Memoli è stato anche ricevuto dal Papa assieme ai suoi commilitoni, Napolitano è andato due volte a trovarlo al Policlinico Umberto I a Roma durante le visite ai malati. Il suo reparto, il Reggimento Trasporti Bari che fu impegnato nella missione Unifil II, gli è vicino con affetto, il ministero della Difesa lo ha tenuto nei ranghi, almeno formalmente, con un decreto speciale.
Lui si sente militare a pieno titolo e nel suo futuro, quando saranno finite le cure, magari ci sarà una presenza nei ruoli d’onore, come altri militari sopravvissuti in gravi condizioni in azioni di guerra.
Una cosa è certa. Il caporalmaggiore Memoli non molla.
ARTICOLO TRATTO DALLA GAZZETTA DI MODENA
AUTORE: Saverio Cioce