Guidare un paese, da sempre, è arduo cimento. Farlo addirittura per ben tre volte, può divenire erculea fatica. Eppure, c’è stato un uomo – certo, dalle doti eccelse – che, in tre momenti diversi, è stato sindaco della nostra città. E, a lungo, nella memoria degli anziani bitontini, il nome di Arcangelo Pastoressa è stato portato a mo’ d’esempio insigne di onestà e rettitudine, mirabilmente coniugate con pragmatismo e tenacia. Dopo l’esordio da salveminiano nelle famigerate e sventurate elezioni del ’13, venne eletto l’anno seguente e divenne sindaco sul finire della Prima Guerra mondiale, tant’è che lui diede alla popolazione la notizia della pace. Al tramonto del secondo conflitto, fu ancora primo cittadino da rappresentante del Partito comunista a cavaliere fra il ’45 e il ’46. In seguito alla vittoria dei partiti di sinistra nel ’52, ancora una volta si ritrovò a guidare l’amministrazione comunale fino all’ottobre del ’53. Nato a Bitonto il 7 agosto del 1886, figlio di contadini, fu fattore di vaste unità immobiliari e agricole. “Fervente antifascista, fu sorvegliato durante il ventennio e, successivamente, membro del Comitato di Liberazione nazionale. Nel Partito comunista fu responsabile dell’Ufficio del Conferimento dell’ammasso agricolo”, è il ritratto che ne fa l’ineguagliabile maestro Marco Vacca. Da imprenditore, fu titolare di una Fabbrica di fiscoli e funi. In città, specie durante il terzo mandato, pose ordine amministrativo e istituì la tassa di famiglia in un’ottica di maggiore giustizia sociale. Chiuse gli occhi, in pace col suo cuore e la sua amata gente, il 19 dicembre del 1970. “Non fu uomo di parte, scevro da rivoluzionarismi improduttivi e dannosi essendo”, fece notare il celebre avvocato Costantino Attanasio. Nel maggio del 2003, la giunta comunale ha deliberato l’intitolazione di una strada al sindaco galantuomo Arcangelo Pastoressa, “figura mitica per operai e contadini bitontini del primo Novecento”, come viene definito dalla Gazzetta del Mezzogiorno. Diciotto anni dopo, non se ne sa più nulla. I nipoti hanno raccolto firme, anche prestigiose, per sollecitare gli inquilini di Palazzo Gentile ad accelerare la pratica. La speranza mai doma è che il presente si dimostri grato nei confronti del nostro grande passato.