Da un giovane concittadino, Domenico Bonasia, riceviamo e pubblichiamo una lettera indirizzata ai Parlamentari del Sud, al presidente del consiglio Giuseppe Conte, al presidente della regione Puglia Michele Emiliano, al ministro per il Sud Giuseppe Provenzano, al ministro delle politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Teresa Bellanova, al ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli e ai politici tutti.
“Egregi politici,
sono un ragazzo di 17 anni, frequento il liceo scientifico e scrivo da Bitonto, in provincia di Bari. Fin da bambino ho amato la campagna ed ho sempre ammirato il lavoro di tutti coloro i quali dedicano la loro vita a coltivare un albero, un prodotto, che diventa, col tempo, una ragione di vita.
Probabilmente avrete sentito parlare della mia cittadina per quanto riguarda la produzione d’olio extravergine d’oliva; ed infatti vi scrivo perché, anno dopo anno, i prezzi di vendita dell’olio stanno diminuendo e gli agricoltori non sono più nelle condizioni di sostenere le spese, rischiando di chiudere le imprese e abbandonare una parte secolare della nostra identità cittadina.
Puglia, Calabria e Sicilia producono il 90% dell’olio italiano, e Bitonto rappresenta il maggior produttore di olio d’oliva in Italia, ed uno dei più importanti nel mondo. Quindi, se l’olio è anche chiamato oro verde, noi bitontini navighiamo nell’oro.
Beh, in sostanza non è proprio così. La motivazione è semplice: basta entrate in un qualsiasi supermercato o ipermercato e recarsi in un qualsiasi reparto alimentare, prendere una qualsiasi bottiglia di olio extravergine e leggerne l’etichetta: nel 99% dei casi l’etichetta citerà: MISCELA DI OLI COMUNITARI/EXTRACOMUNITARI.
Ebbene sì, delle milioni di bottiglie di olio presenti sul mercato, la maggior parte è composta da miscele di oli, in cui solo una minima parte è italiano. L’anno, 2019, in aggiunta, ha portato ad un ulteriore incremento di importazione(+48%), nonostante l’abbondante produzione italiana.
Il fatto più assurdo è che spesso non si importi olio extravergine di oliva che rispetti le norme stabilite dalla legge Italiana, ma si importino oli di qualità inferiore (olio vergine, olio lampante ed addirittura olio deodorato).
A questo punto si innesca un sistema noto ormai da tempo e dimostrato da numerose inchieste giornalistiche che ne descrivono la portata internazionale. Viene definita “truffa dell’olio” e consiste principalmente nell’importare olio di scarsa qualità dall’estero a prezzi molto bassi (1-2 €/l) spacciandolo per olio extravergine d’oliva. Una volta in Italia questi oli vengono miscelati con una percentuale bassissima di olio italiano; la miscela così ottenuta è poi immessa sul mercato a prezzi stracciati, magari con una bandiera tricolore sull’etichetta in modo da trarre in inganno i consumatori meno attenti.
Da questo meccanismo l’agricoltura del mezzogiorno ne esce martoriata: i costi per produrre una bottiglia di olio Made in Italy, che rispetti tutte le linee guida delle leggi italiane, sono ben più elevati del costo di una bottiglia di olio “miscelato”. Di conseguenza, se il mercato continuerà ad abbassare sempre più i prezzi di vendita al dettaglio, a causa dell’importazione sfrenata di oli esteri e dannosi ad opera delle multinazionali, l’agricoltura del mezzogiorno ne uscirà non solo ferita, ma completamente eliminata.
Certamente però, non c’è solo questa truffa a gravare sui contadini meridionali. Infatti, se la differenza tra Sud e Nord è nota, questa differenza risulta essere ben più evidente se si parla di agricoltura. Come è noto, in provincia di Bari si produce olio d’oliva DOP. La sigla DOP significa Denominazione di Origine Protetta, e si possono assicurare questa certificazione soltanto gli olivicoltori che rispettano determinate leggi per quanto riguarda l’uso di fitofarmaci e la coltivazione del terreno e producono olio che rispetti determinati parametri nutritivi.
Tuttavia, nonostante queste leggi e linee guida siano state stilate a livello nazionale la differenza di prezzi è abissale.
Ad inizio agosto la Camera di Commercio di Bari valutava l’olio extravergine DOP 3,80€/lt, mentre la Camera di Commercio di Perugia valuta l’olio extravergine DOP-Umbria 12€/lt; più del triplo.
Ma le assurdità non si esauriscono di certo qui. Il prezzo basso di vendita nel Sud Italia porta anche ad una svalutazione degli appezzamenti e, di riflesso, anche gli agricoltori perdono valore. Se confrontassimo il valore di due appezzamenti di terra di ugual estensione, su cui si coltiva la stessa coltura, ma uno situato al Nord e l’altro al Sud, si noterebbe che l’appezzamento di terra coltivato al Nord Italia vale quasi 10 volte l’appezzamento del Sud.
I dati finora esposti si traducono in una situazione che, personalmente, valuto disgustosa ed irrispettosa verso gli agricoltori del Mezzogiorno.
Ogni anno, infatti si ripresenta sempre la stessa situazione: dopo aver raccolto il prodotto ci si reca ai frantoi dove, puntualmente, bisogna mercanteggiare il prezzo al quintale di olive, cercare di rosicchiare qualche euro che, relativamente quello che è il prezzo definitivo (30/35€/ql) rappresentano una vittoria non indifferente.
Alla fine, però, è sempre il mercato a vincere, la legge del più forte: sono le multinazionali, quelle della famosa truffa dell’olio, a dettare le regole del gioco, e quindi la risposta che alla fine ci viene proposta è: “questo è il prezzo, se ti sta bene ok, altrimenti ciao.”
Io non voglio vivere in uno Stato che dice <> a tutti i suoi lavoratori, ad un esercito di uomini e donne che, giorno dopo giorno, coltivano un albero, un frutto…una ragione di vita.
Vorrei, invece, che tutta la politica, in questa fase di restauro e ricostruzione, ponesse le basi di un nuovo sistema che aiutasse tutti gli agricoltori, questa volta, però, senza distinzioni tra Nord e Sud: un piano per assicurare a tutti i lavoratori, indipendentemente dalla provenienza, una vita dignitosa.
Ho descritto, rispetto quelle che sono le mie conoscenze e la mia esperienza in questo campo quelle che sono le principali problematiche più o meno conosciute del settore olivicolo.
Voglio porre ora tre domande e mi aspetto che la politica tutta si impegni per trovare delle risposte a queste domande. Le risposte che tutto il settore olivicolo si aspetta non sono parole vuote, ma fatti che si traducano in una vera e significativa svolta dell’olivicoltura.
È mai possibile che un prodotto, un appezzamento, una comunità cambi valore in base alla regione in cui si trova?
È mai possibile che ad oggi, nel 2020, l’agricoltura del Mezzogiorno e tutti gli agricoltori del mezzogiorno siano relegati a vivere una vita non dignitosa?
È mai possibile che il prodotto Made in Italy, frutto di italiani che ci mettono la passione in quello che fanno, si pieghi all’invasione di prodotti di scarsa qualità e dannosi, oltre che per la salute umana anche per l’economia di intere regioni?”.