Prima che scoppiasse l’emergenza Coronavirus, era in corso in Italia e non solo un accesissimo dibattito che riguardava il nostro futuro. Tecnologico, naturalmente. Il dubbio che stava diventando sempre più atroce era uno: il 5G sì o no? E quindi, consentire o meno l’installazione di sistemi di comunicazioni elettroniche di quinta generazione, che garantirebbe una connessione mondiale ancora più veloce di quella attuale?
Le posizioni sono davvero delle più svariate, nonostante si parta da una certezza. Le radiofrequenze del 5G sono del tutto inesplorate e, mancando qualsiasi studio preliminare sulla valutazione del rischio, rappresenterebbero una minaccia a livello sanitario e per l’ecosistema.
Anche se, durante un convegno in commissione europea, Martin Pall, Professore Emerito di Biochimica e di Scienza Medica alla Washington State University (Pullman, Stato di Washington), ha illustrato i maggiori danni sanitari provocati dal 5G, basandosi su recenti studi scientifici. Il concetto da lui espresso è un pugno nello stomaco: «Gli effetti delle radiazioni 5G riguardano cuore, cervello e sistemi ormonali e possono degenerare in tumori».
Partendo da ciò, allora, già oltre un numero importante di Comuni ha emanato o stanno per emanare un’ordinanza che vieta l’installazione di antenne e la sperimentazione delle nuove reti.
Le ordinanze si ancorano al principio di precauzionale dell’Unione europea e vietano le sperimentazioni o l’installazione di infrastrutture, nella maggior parte dei casi “in attesa della nuova classificazione della cancerogenesi annunciata dall’International Agency for research on cancer”.
Già, in attesa, perché che il 5G sia davvero dannoso non vi è alcuna inconfutabile certezza. Perché è vero che l’Agenzia internazionale include l’esposizione da radiofrequenze nel gruppo dei “possibili cancerogeni”, ma si basa su “un’evidenza tutt’altro che conclusiva che l’esposizione possa causare il cancro e sul debole supporto degli studi”. Anche perché, infatti, “valutazioni successive concordano nel ritenere che le evidenze relative alla possibile associazione tra esposizione a radiofrequenze e rischio di tumori si siano indebolite. Per quanto riguarda le future reti 5G – continua il documento – al momento non è possibile prevedere i livelli ambientali di esposizione alle radiofrequenze associati allo sviluppo dell’Internet delle cose”.
E, proprio per non farci mancare nulla, non sono mancati gli scontri, con tanto di intervento del Tribunale amministrativo regionale, tra i singoli enti locali (vedi Bologna, per esempio) e le compagnie telefoniche (Iliad), per una diversità di veduta sulla questione. Così come sono (anzi, erano, visto che adesso abbiamo tutt’altro a cui pensare) numerose le mozioni, le delibere, le interrogazioni e i Question time.
Anche nel tacco d’Italia, ovviamente, qualche sindaco si è già espresso. A Noicattaro, per esempio, dove il primo cittadino Raimondo Innamorato ha espressamente sancito il divieto di sperimentazione e installazione dei sistemi di comunicazioni elettroniche di quinta generazione. E qualcosa ha fatto anche la provincia Bat.
E a Bitonto, invece, cosa ne pensano del 5G? La questione, finora, non è mai entrata nell’agenda politica (se mai ce ne fosse davvero una, ndr) dell’amministrazione comunale e del Consiglio cittadino, e neanche Michele Abbaticchio si è mai espresso su cosa effettivamente si voglia fare. Cosa vuol dire questo silenzio? Che davvero da Palazzo Gentile non hanno mai veramente affrontato la questione o che ci vogliano mettere davanti al fatto compiuto?
Nel frattempo, quello che sappiamo, sono due cose.
La prima è che Open Fiber sta continuando a effettuare i lavori iniziati a ottobre scorso (clicca qui per articolo https://bit.ly/3a7qasA) e che, nelle intenzioni, vorrebbero dare una svolta, assicurando una rete Internet più veloce, maggiori performance, una maggiore capacità di trasferimento dati.
La seconda è che Telecom Italia ha provveduto a inviare a corso Vittorio Emanuele “l’intero programma annuale d’installazioni per gli interventi da realizzare in ambito regionale all’assessorato all’Ambiente della Regione Puglia e il piano stralcio comunale per gli interventi da realizzare nel Comune di Bitonto”. Si tratta, nello specifico, nella installazione e/o modifica degli impianti di stazione base (poco meno di 20) per l’anno in corso.