DI CARMELA MINENNA
Vedevi Michele e vedevi un vegliardo dalla tempra forte, con un sorriso appena accennato sotto un paio di baffetti in piena sintonia con la lucentezza cerulea degli occhi.
Parlavi con Michele e parlavi con la memoria del tempo che attraversa le storie di tanti uomini e donne del sud, i tanti ‘senza nome’ che non finiscono mai sulle pagine della storia, ma hanno fatto la storia.
Pensavi a Michele e pensavi ad un patrimonio di fede e di devozione solido ed incrollabile, di quelli che si confondono con la vita perché per lui, Michele, la vita viaggiava solo sui binari della devozione.
Nato il 10 ottobre 1932, Michele Tassiello che, per una tragica fatalità, ha incrociato sul suo cammino un autoveicolo letale, per la comunità di Bitonto è stato e rimane il decano dei portatori dell’Addolorata di S.Domenico. Una esistenza, la sua, caparbiamente costruita sui ritmi e sulle strade della pietà popolare vissuta non come ostentazione orgogliosa, ma come scelta da cucire ‘addosso’, come lo stifelius indossato per oltre cinquanta anni sotto il peso delle 111 candele che circondano il simulacro mariano.
Conosceva bene il rituale della vestizione del portatore e la pratica della ‘fasciatura’, sapeva misurare i passi e dare lo slancio calibrato quando, ad un lapidario suèze, era tempo di caricare sulle spalle il peso delle candele piangenti. E anche quando le comprensibili ragioni anagrafiche lo hanno costretto a passare il testimone ai giovani portatori da lui paternamente ‘coltivati’, non ha rinunciato a seguire il passo cadenzato della portantina, al fianco della sacra immagine, quasi a voler riscrivere la storia del suo ‘servizio’ per l’Arciconfraternita del SS.Rosario non più su solide spalle, ma su solida fede.
Depositario di una sapienza nonagenaria, non ne ha mai fatto un tesoro esclusivo, ma ha voluto condividere i fotogrammi della sua storia umana anche con chi – e qui si impone il ricordo personale di una intervista – ha voluto vedere in lui il custode di un patrimonio immateriale fatto di proverbi e modi di dire, di gesti e di rituali ereditati dal tempo ed affidati alla prospettiva del futuro. E si rincorrono a questo punto le suggestioni di una vita di stenti, nella quale unico punto fermo è stato il servizio di portatore dell’Addolorata, di una fede genuina e semplice fatta anche di quei segni esteriori riflesso dei ‘solchi’ di un cuore devoto al Cristo Nero (che ha voluto sempre omaggiare con una croce luminosa al passaggio della sacra immagine dinanzi alla sua dimora su via Castelfidardo), di un ritratto per sempre rimasto cristallizzato sull’ultimo ‘suo’ Venerdì santo.
Quello stare ‘accanto’ all’Addolorata che Michele ha vissuto negli ultimi anni (nutrito dalla convinzione che – diceva lui – me la sèndeche ‘ngùdde, ‘me la sento ancora addosso’!), si traduce oggi, per chi lo ha conosciuto e per chi ne ha ereditato la missione, in uno ‘stare accanto’ all’altro.
Il passo, lento e cadenzato, da oggi si è fatto leggero e vellutato. Lo stifelius non rimarrà più appeso in attesa della prossima processione: è diventato l’abito di un cammino senza fine.