Il nuovo titolare degli uffici più ambiti del Palazzo di Giustizia di Bari è il magistrato 59enne Roberto Rossi. Il Procuratore della Repubblica, erede di Giuseppe Volpe, è stato nominato l’8 settembre dal Consiglio superiore della magistratura, alla fine dello stesso mese è stato immesso nell’esercizio delle funzioni e sarà anche capo della Direzione distrettuale antimafia. L’uomo, che appare sensibile e saggio alquanto, ha un legame particolare che lo unisce alla nostra città: “Il legame con Bitonto – ricorda fiero – è soprattutto affettivo, mio nonno era bitontino – il suo cognome era Aruanno – ed aveva fatto anche attività politica a lungo, visto che era del Movimento sociale ed io ricordo di aver fatto da piccolo epiche litigate con lui proprio per le idee divergenti. Però, ammiravo in lui l’essere un politico onesto”. Dalle ampie finestre del suo studio si intuisce il mare azzurro, col suo fascino eterno. Quell’immagine d’infinito suggerisce una prima domanda panoramica. Qual è la situazione nella provincia di Bari e il grado di pericolosità dei clan. Quanto le ramificazioni e le conseguenti affiliazioni baresi pesano sulle città della provincia e su Bitonto? “La situazione è delicata, ma non drammatica – osserva pensoso –, perché l’azione di contrasto negli anni ha avuto una grossa efficacia. Il problema, quindi, non è tanto l’azione di contrasto, quanto il rinascere continuo dei gruppi, dopo le nostre operazioni. Il problema non è repressivo, ma sociale, cioè fa pensare il fatto che si riformino continuamente i clan, che hanno delle radici territoriali e familiari molto robuste. Preoccupa, altresì, la forte attrazione presso i giovani dei gruppi criminali, aggravata dall’abbassamento notevole della soglia anagrafica degli affiliati, che trovano così un modo per vedere riconosciuta la loro identità, cosa che magari non succede in altri ambiti. Non dimentichiamo che con la pandemia si è ridotta anche la mole dei reati e, dunque, pure i malavitosi hanno un problema economico. Si sa che c’è bisogno di avere più soldi perché anche i detenuti vanno mantenuti, pagando familiari e avvocati, per esempio. A Bitonto, sotto il profilo della repressione, la nostra attività è quotidiana e intensa, a partire dal controllo del territorio, anche se le radici non sono state ancora estirpate e, quindi, continuano i due clan l’un contro l’altro avversi, ma uniti sul piano della gestione degli spazi. Il radicamento continuo e il fascino sugli adolescenti sono le due vere problematiche attuali. Insomma, da parte nostra resta alta l’attenzione”. Il male invisibile che ammorba le nostre città, la mano che stringe al collo chi vorrebbe investire per creare un’ipotesi di domani migliore: le estorsioni. “È indubbiamente un fenomeno molto grave – quasi s’accora – perché priva dell’apporto economico ordinario il tessuto sano di una comunità ed è ancora più grave se si pensa che, infiltrandosi attraverso questo sistema, la criminalità inquina l’economia legale. Molto possono fare le associazioni di categoria, dialogando con la polizia giudiziaria. Spesso, proprio attraverso queste realtà siamo riusciti ad intervenire, convocando commercianti e piccoli imprenditori, i quali, sentendosi “coperti” da una sorta di lavoro di gruppo, hanno confessato di aver subito estorsioni e ci hanno permesso di attuare misure cautelari adeguate, come è capitato al quartiere Carrassi a Bari. Questo modello deve essere applicato dappertutto. Gli esercenti devono capire che non sono soli e che, quando interveniamo, la malavita barese non è poi così invincibile”. Crede che sia necessario operare una rivoluzione culturale nella concezione della malavita oggi, sempre oscillante fra superficiale sottovalutazione e grave esagerazione? “Sì, l’intervento educativo della scuola – si fa deciso il suo dire – è essenziale. Ma pure degli oratori e delle chiese, pensiamo all’esempio luminoso di don Pino Puglisi, ucciso perché sottraeva forze giovani alla mafia. La capacità di penetrazione sociale di questi soggetti è antidoto migliore al diffondersi delle organizzazioni malavitose. È giusto tagliare l’erba cattiva, ma è ancor più importante eradicarla”. Il celebre drammaturgo Bertolt Brecht provocatoriamente affermava: “Sventurata la terra che ha bisogno d’eroi”. Lei che pensa? “La democrazia non può avere solo eroi – analizza acuto –, che sarebbero figure che si elevano al di sopra della norma, e che restano comunque irraggiungibili. Anzi, la loro altezza potrebbe spingere i meno sensibili a demotivarsi. È fondamentale, piuttosto, che tutti quanti facciano la loro parte, il loro dovere: forze dell’ordine, insegnanti, magistrati, giornalisti, la criminalità non esisterebbe o, comunque, non avrebbe vita facile”. Per chiudere, tastiamo il polso della giustizia, oggi, in Italia. “Lo studioso Gustav Zagrebelsky ha scritto recentemente che il sistema giustizia forse non rende più giusto il mondo, ma di certo lo rende migliore. Ecco, è in difficoltà, attualmente, ma guai se non ci fosse”, conclude il dottor Roberto Rossi, con un sorriso leggero che sa di fiducia e piena consapevolezza delle proprie responsabilità.