Era il 9 marzo 2020, quando al carcere di Melfi (Potenza), un gruppo di detenuti dette inizio ad una violenta protesta contro le misure anti-Covid.
Per dieci ore, furono tenuti in ostaggio quattro agenti della Polizia Penitenziaria e cinque operatori sanitari.
Dopo oltre un anno di indagini coordinate dalla DIA di Potenza, sono stati individuati i quattordici registi della rivolta, a cui è stata notificata l’ordinanza di custodia cautelare in carcere.
A guidare la protesta, furono anche tre bitontini. Si tratta di Michele Cassano, arrestato nell’operazione Pandora nel 2018, il pluripregiudicato Mario D’Elia e Giovanni Stellacci, coinvolto in operazioni antiracket.
Insieme a loro anche Roberto Dello Russo di Terlizzi, che avrebbe corrotto magistrati; il barlettano Savino Albanese, accusato di traffico di droga; il foggiano Luigi Biscotti, nipote del capoclan Roberto Sinesi; Domenico De Feudis di Molfetta, specializzato in rapine, traffico di droga e armi; il barese Emanuele Fiorentino, condannato come esecutore dell’omicidio di Giuseppe Mizzi a Carbonara; Emanuele Giannotta del clan Di Pierro di Taranto; Silvestro Lotito dei Di Cosola di Bari; Massimiliano Marini di Mola, arrestato per traffico di stupefacenti; il barese Giuseppe Milloni del clan Strisciuglio; il foggiano Massimo Perdonò, nipote di un boss; il foggiano Francesco Tizzano, già condannato a 18 anni.
A ricostruire l’accaduto, le testimonianze degli ostaggi, ma anche i filmati di videosorveglianza interna.
La rivolta sarebbe iniziata al primo piano, con la sottrazione delle chiavi delle celle a tre poliziotti. Usciti dalle celle, i detenuti avrebbero poi accatastato brande, scrivanie e gabelli, per poi chiudersi nella sezione con gli ostaggi e scrivere il documento con le rivendicazioni.