Prove tecniche di dialogo interculturale. Finite male, purtroppo. Neppure usare linguaggio universale è servito.
Bitonto, qualche sera fa.
A tentare di affratellare mondi lontani, una ragazza bitontina.
L’amore per un giovane straniero in men che non si dica si traduce in un convegno appassionato in un basso del centro. Senonché, l’oggetto dell’affetto presto smisurato è una seconda scelta. E la prima, avendo ancora il cuore ferito, scalpita ché vuol cogliere in flagrante i drudi infatuati.
Così, decide per l’incursione a sorpresa nell’alcova bollente.
Mentre dal locale si levano ululati e sospiri di rito, ecco l’aitante tradito spalancare la porta e urlare terribili minacce nei confronti dei fedifraghi ancora intrecciati fra loro. Ed è singolar tenzone da cavalleria rusticana.
Per strada, in costume adamitico, l’aggredito conferma la fama proverbiale con un’appendice infracrurale che lo fa tripode d’un subito.
Il rivale adontato s’avvinghia nel tentativo di non rassegnarsi all’amaro destino di onan quasi certamente bimane.
La contesa si fa sempre più accesa e a nulla serve che la leggiadra fanciulla, rivestitasi in un battibaleno, esprima a gran voce il suo gradimento per il nuovo amante mercé una chiara predilezione igienico-olfattiva, in linea con le direttive anti-Covid.
Insomma, nell’acciaccapesta sempre più furibondo, non si riesce a trovare il bandolo della matassa.
Dovrà intervenire una pattuglia dei carabinieri per riportare alla ragione i due contendenti, spiegando con argomenti convincenti che il conquistatore è stato in gamba nel far suo la pulzella, il defraudato solo un po’ sventurato.
Tutto qui.
Pare che, nelle vicinanze, uno spettatore abbia esclamato con vivo apprezzamento: “Sì vist a cur, ie steut nu crniut”.
D’acchito, il vicino ha affondato il colpo: “Pur u alt”.