Sono passati quattro mesi da quando il maestro Marco Vacca ci ha lasciati. Ma quando un uomo vive in modo autentico la sua vita, lasciando tracce indelebili anche se discrete del suo passaggio, la sua biografia continua a vivere non solo nel ricordo grato ma anche e soprattutto in un impegno rinnovato perché la memoria grata possa diventare il motore di una speranza possibile.
Come per la fiaba di Pollicino, il Maestro Marco ha lasciato dietro di sé delle briciole o dei sassolini che siamo chiamati a seguire per ritrovare la strada giusta, la strada vera. Quelle briciole e quei sassolin siamo chiamati anche a custodirli nonostante le intemperie della vita rischiano di disperderle nel non senso della nostra esistenza. Sono segni che non parlano (mai) di Marco ma solo e soltanto delle sue grandi passioni: i bambini (soprattutto quelli più “scapestrati”), la città, la fede, quella piccola come un granellino di senape.
E così lo scorso venerdì 15 luglio, con una settimana esatta di ritardo, a causa del forte temporale dell’8 luglio, ci siamo ritrovati, come ogni anno da 29 anni a questa parte, presso il giardino del complesso GESCAL per seguire uno di quei sassolini, una di quelle tante briciole seminate dal maestro Marco nella su vita.
L’8 luglio del 1993, infatti, la Comunità del Santuario dei Santi Medici, responsabile di quella zona dei case tra via Raffaele Comes e Via Massimo D’Azeglio, decise di porre un gesto di attenzione all’interno di un’area incolta che oggi è un giardino rigoglioso, un punto verde importante della nostra città. Il Maestro Marco, che ogni giorno, aprendo la sua finestra sognava di vedere quel luogo trasformato da palude in giardino fiorente, fu uno tra i principali promotori di quella scelta comunitaria e anche il regista (a proposito di una sua altra grande passione) di quel momento a suo modo “storico”. Per Marco quel luogo era (ed è) un luogo simbolo della città, un luogo dove c’erano dei bambini, un luogo che chiedeva di diventare un segno di fede. Insomma le sue grandi passioni chiedevano di essere vissute anche e soprattutto in quel luogo a lui caro. Così proprio quell’8 luglio dalla Basilica, si snodò una processione con l’immagine della Madonna che fu sistemata al centro di quel giardino, allora con piccoli alberi da far crescere, e fu insignita del titolo di Madonna del Popolo. Da allora, soprattutto nei mesi estivi, quel luogo è diventato motivo di raduno per la preghiera personale o comunitaria del rosario. Il giardino diventava sempre più rigoglioso grazie all’impegno e la cura di tanti uomini che ancora oggi, sono lì ad innaffiare a potare a pulire. Ma quello fu solo una parte, forse la più visibile, di un impegno importante e faticoso del Maestro a servizio di quel quartiere. Per lui, senza enfatizzare, era diventata una “missione” laicale ed ecclesiale. In quegli anni furono organizzati campi scuola, attività ludiche, uscite per i tantissimi bambini che abitavano quel complesso e che ancora oggi da adulti, ricordano quei momenti con profonda gratitudine nei confronti di Marco che per loro e per tanti era semplicemente “u prfssour”.
E allora dopo 29 anni, seguendo quei sassolini e quelle briciole che non dobbiamo assolutamente permettere che vengano spazzate via da quella strada, l’intero quartiere ha voluto porre un segno di un piccolo alberello, come quelli, piccolissimi, che furono piantati 30 anni fa. Un alberello dedicato al Maestro Marco, non come semplice ricordo che forse nemmeno avrebbe mai voluto, ma come promemoria per ricordarci che la città è un luogo che va curato, amato. E Marco di questo amore ne è stato un grande testimone. Lo ha ricordato don Vito, nel suo pensiero durtante la celebrazione annuale nel 29° anniversario di questa memoria. Marco viveva di grandi slanci e amava le vette, ma sapeva che quello che amava vedere sul monte, poi doveva viverlo a valle, con discrezione, nel silenzio. Ma con grande parresia di cui il maestro ed educatore Marco era mirabilmente capace.
Un alberello, dunque, piccolo e fragile. Così piccolo che sembra quasi non esserci. Così piccolo e fragile come i tanti bambini che ha servito e curato.
Un alberello che ricorderà a quanti passeranno da quel luogo “santo” che “Dio ci ama sempre attraverso qualcuno”.
Un albero, non ultimo come lui, Marco, in una sua poesia degli anni 80, provocatoriamente fece parlare e che diventa per tutti noi, oggi, voce della nostra coscienza. Ancora Grazie, maestro Marco.
GLI ULTIMI ALBERI?
C’era una volta un albero….
Cosi si potrebbe narrare la triste mia storia
a voi, bambini, che forse mi conoscete appena
e così poco mi vedete
accanto alle vostre case, nelle piazze,
sui marciapiedi delle vostre strade.
C’era una volta un albero
che all’uomo faceva compagnia
anche nella città: egli ne respirava
la pura aria sottile
dalle foglie soavemente emanata.
E il tenero verde della chioma,
come nuvola sul tronco sospesa,
parte faceva dell’immagine d’una città.
Alberi dai fiori improvvisi e festosi,
alberi dal frutti generosi,
alberi, compagni della vita dell’uomo….
Ma siamo ormai rimasti in pochi:
una razza noi siamo
dal cemento perseguitata, una razza
anche minacciata da ragazzacci
che a bersaglio ci prendono, mentre da loro
vorremmo, come orfani, essere adottati!
Sono qui allora a testimoniare
che nella tua città vorremmo restare:
fare all’uomo compagnia, dargli i nostri doni,
é nostro onore, é nostra soddisfazione.
Aiutaci a vivere! Aiutaci a servirti!
(di Marco Vacca tratta dal libro DUEDIECIUNO, 1989)