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Home » Rinuncia alla borsa di studio per assistere i malati in Italia. L’esperienza di Debora, medico specializzando ed educatrice

Rinuncia alla borsa di studio per assistere i malati in Italia. L’esperienza di Debora, medico specializzando ed educatrice

Pur non lavorando in un reparto Covid, ha deciso di impegnarsi in un compito non meno importante: aiutare quei pazienti rimasti soli a causa della quarantena

Michele Cotugno by Michele Cotugno
27 Aprile 2020
in Cronaca
Rinuncia alla borsa di studio per assistere i malati in Italia. L’esperienza di Debora, medico specializzando ed educatrice
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«Fai quello che puoi con quello che hai, nel posto in cui sei».

È il monito di Debora Brascia, classe nel 1992, laureata nel 2016 in Medicina e Chirurgia. È medico specializzando in Chirurgia Toracica al Policlinico di Bari. 

A presentarla è il portale web della Parrocchia di Cristo Re Universale, dove, da anni, Debora è impegnata come educatrice ( https://bit.ly/2KCKzeW ). Il sito della comunità parrocchiale bitontina ci racconta che, nonostante la sua giovanissima età, dimostra già di essere una vera promessa della medicina: vince il premio “Talenti” come migliore neolaureata del 2016 poi, il bis, durante la XXIV Giornata Medica Gravinese, ha ricevuto il premio “Simone Lorusso”.

Ed è proprio sulla pagina telematica della parrocchia che Debora ha raccontato la sua esperienza, l’esperienza di una giovane specializzanda, impegnata in un tanto agognato periodo di formazione all’estero, che rinuncia ad un traguardo tanto ambito, per poter dare il proprio contributo in Italia: «Quando è scoppiata l’emergenza COVID in Italia, mi trovavo in Germania per un periodo di formazione sui trapianti di polmone. Presto il lockdown sarebbe arrivato anche ad Essen e i voli per l’Italia sarebbero stati completamente annullati. Di lì la prima scelta di questo periodo: rinunciare ad un’esperienza tanto attesa, ad una borsa di studio guadagnata per tornare a casa. Restare in Germania guardando quello che stava accadendo in Italia, seguendo ogni giorno il triste bollettino della Protezione Civile, sentendo i miei colleghi preoccupati era diventato troppo e troppo forte premeva in me la voglia di tornare in Italia per dare il mio contributo come medico e persona. Appena arrivata, sono rimasta in quarantena per due settimane e sono stata reintegrata a lavoro solo dopo aver eseguito un tampone, risultato negativo. Ho utilizzato la quarantena per riappropriarmi di un tempo che non riesco mai a trovare: quello per leggere, studiare, dipingere, creare, fare ricerca. Siamo andati troppo veloci, ci dice il Papa. E pure mia madre me lo ha ricordato ogni mattina, al mio risveglio. Ho riscoperto in quarantena la necessità e la bellezza di riscoprirsi, di conoscersi e stare da soli. Ho riscoperto come, anche nella solitudine, si può trovare il modo di essere vicini agli altri, crescendo come professionista, approfondendo diagnosi e terapia dei pazienti Covid e non solo».

«Ma no, io non lavoro in un reparto Covid» chiarisce Debora, dunque, ribadendo l’invito a fare quel che si può con quel che si ha, nel posto in cui si è. Come ad esempio, prendersi maggior cura di chi, sottoposto ad altri tipi di interventi, non avrebbe potuto godere del conforto dei parenti, a causa delle restrizioni anti-Covid: «Quello che noi, chirurghi e specialisti non impegnati nei reparti Covid abbiamo dovuto affrontare, è stata un’altra battaglia, più silenziosa. Abbiamo dovuto spiegare a pazienti che necessitavano di intervento chirurgici urgenti (per tumori polmonari) che non avrebbero trovato nessuno al loro fianco al risveglio, perché nessun parente può accedere ai reparti in questo momento. Abbiamo dovuto mostrare loro ancora più vicinanza ed essere i loro volti amici durante la degenza. Abbiamo dovuto rimandare interventi non urgenti. Abbiamo dovuto convivere con la paura Covid, ma trasmettere ai pazienti serenità e sicurezza. Ci siamo dovuti riprogrammare, come tutti, per questa nuova situazione. Abbiamo dovuto far convivere tutti i nostri genitori, con la paura di uscire di casa ogni giorno e andare in Ospedale. Ho guardato con ammirazione i miei colleghi, che pur avendo figli o genitori anziani, non si sono mai tirati indietro dal fare consulenze nei reparti Covid».

Ma, nonostante i buoni propositi e la speranza, i momenti di sconforto non mancano, specialmente in occasione di giornate importanti per un cattolico: «E poi arrivata Pasqua, quest’anno con un misto di rassegnazione e tristezza. Mi sono chiesta cosa potessi fare io per ritrovare lo spirito di silenzio, preghiera e carità in un periodo così sentito e vissuto ogni anno con la mia comunità. Mi è stato proposto di animare le messe del Triduo, e quella è stata già la risposta che cercavo. L’idea di condividere con la comunità le celebrazioni, di cantare quel Canto del Mare che ogni anno tutti attendono con ansia, è stato il modo che mi è stato offerto per mettermi al servizio, nel mio piccolo, anche in questo periodo e per riportare un po’ di Pasqua a casa di tutti».

È questo, dunque, il significato del suo monito: «Fai quello che puoi con quello che hai, nel posto in cui sei».

«È questo il messaggio che io ho portato dentro tutto questo tempo e l’invito che faccio a tutti. Di riscoprirsi ogni giorno durante questa quarantena, di fare il massimo ognuno nelle mansioni per cui è stato chiamato: genitore, lavoratore, figlio, studente. Che questo periodo non diventi mai un momento di stasi, ma di estrema dinamicità e creatività materiale e dell’anima» conclude Debora.

 

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